La dittatura fondomonetarista uruguayana (1973-1985) ha sempre costruito di se stessa un’immagine falsata. Ufficialmente in Uruguay vi furono una trentina di desaparecidos e la giustificazione storica data fu che tutte quelle morti furono incidenti: “se le pasó la mano en la tortura”, “esagerarono con la tortura”. L’uso pubblico della storia, la costruzione identitaria uruguayana non poteva ammettere lo sterminio in un paese dove spesso vittima e carnefice erano familiari. A questi si aggiungevano i morti ufficiali, quelli dei quali in strada fu fatto ritrovare il corpo, almeno duecento desaparecidos uruguayani in Argentina, qualche decina in Cile.
di Gennaro Carotenuto
Di questi morti i militari hanno sempre detto di non sapere nulla. Come se non avessero preso parte anche loro al piano Condor, l’internazionale del terrorismo di stato alla quale presero parte tutte le dittature fondomonetariste latinoamericane sotto il patrocinio di Washington. Non sapevano nulla, neanche quando si trattava di cadaveri eccellenti come quello dell’ex presidente della Camera dei deputati, Zelmar Michelini ucciso a Buenos Aires. Tale versione edulcorata, per un paese dove fu costretto all’esilio più del 10% della popolazione, fu paradossalmente avallata perfino dalla “Commissione per la Pace”, che nei primi anni di questo secolo prese sostanzialmente per buone le bugie dei militari. Complice la politica, non un solo corpo di desaparecido fu restituito. Una legge di amnistia tombale voluta dall’uomo dell’FMI a Montevideo, Julio María Sanguinetti (presidente dall’85 al 1990 e dal 1995 al 2000), sembrava avere chiuso la questione, fino ai primi ritrovamenti di corpi in queste settimane, prima a Pando, un’ex-città industriale alle porte di Montevideo, poi a Vichadero, un villaggio isolato al capo opposto del paese. Entrambi i ritrovamenti mettono in crisi definitivamente il castello di menzogne raccontate per trent’anni dai militari. Altrettanto fanno con il sistema di rigorosa impunità imposto al paese per il quale il sequestro di una donna incinta, il suo assassinio e sparizione e il contestuale sequestro e sparizione della figlia, sarebbero amnistiati perché fatti passare per un servizio offerto alla nazione eseguendo ordini superiori. Uno dei corpi di Pando è proprio quello di una ragazza di poco più di 19 anni e di almeno 1.57 di altezza. Può corrispondere a quello della maestra Elena Quinteros, sequestrata all’interno dell’Ambasciata venezuelana a Montevideo dove aveva trovato rifugio, ad Amelia Sanjurjo Casal o alla cittadina argentina María Claudia García, nuora dello scrittore Juan Gelman. Quest’ultima, prima di essere assassinata, partorì una bambina riscattata dopo oltre un quarto di secolo solo dalla devozione totale del nonno a quella nipote della quale non conosceva neanche il sesso. Il dettaglio raggelante che sul corpo di Pando le informazioni ufficiali hanno tentato di occultare, è che insieme al cadavere nella fossa è stato trovato il bossolo di una pallottola di calibro nove millimetri con il quale è stata assassinata la vittima. Dunque non tutti i morti uruguayani sono morti per la troppa foga dei loro torturatori. Adesso che vengono alla luce i poveri resti, si scopre che almeno una giovane donna è stata assassinata con un colpo di pistola sul ciglio della tomba anonima dov’è poi rimasta sepolta per trent’anni. Un’esecuzione.
Da Pando a Vichadero ci sono centinaia di chilometri. A Vichadero non si sa che lingua si parli. Il nome che danno a quel dialetto è portuñol, una mescola a la carte di brasiliano e rioplatense. Fino a meno di un secolo fa non si era nemmeno sicuri se si fosse in Uruguay o in Brasile a Vichadero, così come in tutti i dipartimenti del nord del paese. Si era in Uruguay, ma venivano applicate le leggi brasiliane e gli abitanti erano quasi tutti coloni riograndensi che avevano passato il labile confine durante la guerra civile di metà ottocento nella quale dalla parte di Bento Gonçalves aveva combattuto anche Giuseppe Garibaldi. Vichadero è una Macondo isolata nella grande pianura fertile ed incolta della Banda Orientale del Río de la Plata, popolata da bovini più che da uomini. Non ci sono né le risaie di Treinta y Tres o Cerro Largo, altri dipartimenti di confine che dalla Laguna Merín portano verso l’Oceano Atlantico. E non ci sono mai state neanche le industrie zuccheriere di Artigas e Bella Unión -sempre nel profondo nord del paese- chiuse dalla sera alla mattina per ordine del Fondo Monetario Internazionale. Senza dittatura sarebbe stato impossibile vincere la resistenza sindacale e negli anni ’90 la chiusura degli zuccherifici lasciò la desolazione. Nel breve volgere di pochi anni, portò all’abominio dei bambini morti per fame laddove aveva prosperato per secoli l’industria della trasformazione della canna in zucchero. Lontana dal capoluogo Rivera (alla frontiera con la brasiliana Santana do Livramento), del dipartimento omonimo, grande come le Marche ma con gli abitanti di Tolentino, e lontanissima da Montevideo, Vichadero è un altro mondo, una Macondo improvvisamente proiettata sulle prime pagine della stampa latinoamericana. Non conosco nessuno che sia stato a Vichadero né che abbia visitato il locale camposanto, ma conosco bene Tranqueras, un’altra Macondo del dipartimento di Rivera a pochi chilometri da Vichadero. Se fossi più ordinato potrei esibire un intero rollino di foto scattate nel locale cimitero. Ma Vichadero è uguale a Tranqueras che è uguale a Vergara e a mille altre Macondo dell’interno dell’America Latina.
E’ il minuscolo camposanto di Vichadero ad interessarci. Per gli appena 1.500 abitanti del paese, ci sono 148 tombe. Ed allora sono straordinariamente troppi quei 35 corpi di n.n. che furono sepolti a Vichadero tra il 1973 e il 1978. Né prima né dopo di quel quinquennio nero risultano altri corpi di n.n. seppelliti a Vichadero. Chi erano, cosa cela il segreto di quelle morti anonime? Oggi sappiamo molte cose su quel mistero conservato per oltre un quarto di secolo. Il seppellitore dell’epoca riceveva i corpi sotto minaccia della vita. Li lasciavano all’alba dei militari che giungevano con auto targate Montevideo. Pochi mesi fa -poco dopo l’arrivo del primo governo progressista- il figlio del becchino, che ereditò anni fa il lavoro dal padre, e che di questo raccolse le confidenze, ebbe l’ordine, dall’amministrazione di destra del dipartimento, di far sparire quei corpi in una fossa comune. Lo fece, ma avvolse ogni corpo con cura in fogli di plastica, e ad ognuno attaccò una targa che ne ricostruiva la storia conosciuta di ognuno. Ciò fino alla settimana scorsa. Risparmio al lettore innumerevoli dettagli su resistenze, ostacoli ed omissioni di magistrati, politici e perfino della Commissione per la Pace, informata già nel 2002. La Polizia Mortuaria di Rivera, incaricata del trasporto delle 35 salme a Montevideo, ha ben pensato di mescolare le ossa tra loro dopo che per trent’anni erano state tenute divise in tombe anonime. Nel frattempo il seppellitore -sicuramente minacciato- non sembra più in grado di confermare i racconti del padre e dichiara al magistrato che al momento di ricordare i dettagli su quei corpi “mi viene un’aria in testa”.
I corpi di Vichadero cambiano nel profondo la storia della dittatura uruguayana e dello stesso piano Condor. María Claudia non era lo strano caso di una ragazza argentina venuta a finire i suoi giorni in una camera di tortura uruguayana dopo aver dato alla luce un figlio. E’ del tutto chiaro che i corpi appartengono a cittadini uruguayani sequestrati in Argentina. La grande novità è che una parte consistente di loro non fu assassinata in Argentina, ma fu riportata in patria da militari uruguayani prima di essere eliminata. E’ difficile che le sepolture clandestine si fossero limitate ai soli corpi di Vichadero. Anzi: se si arrivò fino a Vichadero fu perché i corpi da smaltire furono molti. Esisteva quindi non soltanto un’opera ?ampiamente conosciuta da anni- di intelligence nella quale militari orientali distaccati a Buenos Aires collaboravano nell’ambito del piano Condor nel sequestro, nella tortura, nell’omicidio e nella sparizione dei corpi con gli omologhi argentini.
C’è di più, molto di più, che i corpi di Vichadero vogliono dirci. Esisteva anche un piano di rimpatrio e sterminio. Se si fosse trattato ‘solo’ di torturare, estorcere informazioni ed uccidere, non sarebbe stato necessario affrontare il rischio del viaggio. Quindi i sequestrati furono trasferiti per alcuni buoni motivi, non difficili da elencare, anche se fino adesso occulti. Il primo è che gli argentini non si fecero carico di corpi estranei. Ogni gruppo di repressori nell’ambito del piano Condor era disposto a collaborare ma a farsi carico solo dei propri. Il secondo è che era necessario annichilire la resistenza in esilio e continuare a torturare con questo fine. Tenere in vita quindi, magari per organizzare faccia a faccia tra i sequestrati. Alcuni non avevano immediatamente informazioni da offrire, ma avrebbero potuto averle successivamente. Il terzo è quello che era necessario tempo per il glorioso esercito uruguayano, che salvò la patria dal comunismo. Tempo. Tempo per inventariare i beni delle vittime, tempo per trovare ed estorcere i denari in contanti. Tempo per identificare le proprietà, per ricattarli e ricattare le famiglie per poterle rubare. Tutti i militari latinoamericani addestrati negli Stati Uniti allo sterminio e poi impiegati nel piano Condor, hanno fatto del furto dei beni dei sequestrati uno dei motivi fondamentali del loro accanimento. Alcuni dei tormenti più indicibili furono imposti solo per rapina. Come nelle guerre medievali, i peones venivano immediatamente eliminati. Ma per i sequestrati di classe media o alta l’estorsione accoppiata al tormento prima dell’omicidio era la regola. Centinaia di milioni di dollari passarono di mano in questo modo durante le dittature fondomonetariste in America Latina. L’Uruguay non fece eccezione. Quei 200 morituri in Argentina non avevano valore, ma potevano fruttare molto se trasferiti in patria.
Siamo solo all’inizio della riscrittura della storia recente del paese. E’ evidente che la dittatura aveva carceri segrete che sono rimaste sconosciute in tutti questi anni. E’ altrettanto evidente che il sistema di terrore imposto dalla dittatura è ben lungi dall’essere tramontato visto il silenzio tombale con il quale in vent’anni di democrazia è stato conservato il terribile segreto di decine, forse più di cento viaggi della morte. E per ogni morto, decine di persone sapevano. I sequestratori, i torturatori, gli assassini e i loro superiori, ma anche il sergente incaricato di far scavare la fossa al caporale che sceglieva i due o tre soldati semplici che la scavavano. E da lì ramificandosi verso mogli, concubine, amanti. Migliaia di persone sapevano e non soltanto al becchino di Vichadero al ricordare “viene un’aria in testa”.