La storia dei “falsi positivi” in Colombia, della quale diamo conto oggi per Latinoamerica (e non è la prima volta), è una di quelle che dovrebbe provocare una sollevazione morale nella stampa e nell’opinione pubblica. Anche italiana, visto che ha saputo commuoversi per la storia a lieto fine di Ingrid Betancourt.
Il presidente colombiano Álvaro Uribe, il politico latinoamericano più amato dalla stampa internazionale, ha causato la morte di almeno 1.157 persone innocenti, completamente estranee alla guerriglia, perché la logica della “guerra al terrorismo” post 11 settembre pagava un tanto per ogni cadavere.
Così centinaia di cittadini inermi sono stati sequestrati dall’esercito, assassinati, quindi rivestiti con una tuta mimetica con il simbolo della guerriglia delle FARC per permettere agli assassini di passare all’incasso. Omicidi pagati dallo Stato colombiano e, al di sopra di questo, dal governo degli Stati Uniti.
Da George Bush che paga, è il Plan Colombia, ad Álvaro Uribe che incassa, al capo di stato maggiore Mario Montoya (il liberatore di Ingrid Betancourt, nella foto) che faceva funzionare il meccanismo e che per questo si è dovuto dimettere incalzato da una magistratura coraggiosa, giù giù fino a forse 3.000 tra ufficiali e soldati e un numero imprecisato di cittadini comuni che hanno intascato ricompense dallo Stato per presentare false denunce anonime contro loro vicini e conoscenti mandandoli a morte, sono tutti complici del terrorismo di Stato in un meccanismo comparabile con alcune delle peggiori dittature della storia. Comparabile con il “Cuore di tenebra” di Leopoldo II del Belgio che in Congo pagava un tanto per ogni mano destra di congolese ucciso, e furono milioni.
Le associazioni per i diritti umani denunciano da anni inascoltate l’aberrazione dei “falsi positivi”. Lo aveva denunciato lo scorso anno il “Washington Post”, ne avevamo scritto su Latinoamerica, ma sulla stampa italiana nessuno aveva ripreso la denuncia né prima, né dopo, nonostante venisse da uno dei più autorevoli quotidiani statunitensi. Adesso che perfino il vicepresidente colombiano, Francisco Santos afferma che “provo vergogna per questa situazione. Chiedo perdono alle vittime e prometto che nessuno di questi crimini resterà impunito” e che perfino “El País” di Madrid, sul quale sono troppo spesso ricalcati gli articoli latinoamericani dei nostri giornali, ne parla, ci si aspetterebbe almeno qualche riga dai nostri giornali.
Omero Ciai oggi è proprio in Colombia ad intervistare García Márquez, beato lui. Non li legge i giornali? E gli altri nostri indomiti inviati e corrispondenti? I Rocco Cotroneo, gli Emiliano Guanella, le Angela Nocioni, i Mimmo Candito, i Battistini… non se n’è accorto nessuno? Non vorranno farci credere che quei mille e dispari disgraziati non siano notizia?
E invece non c’è nulla. E delle due l’una, o sono in malafede o sono incapaci di fare il loro lavoro. E non ci dev’essere nulla perché ai lettori italiani di quotidiani va presentata sempre e solo la stessa verità precostituita: Álvaro Uribe buono, Hugo Chávez cattivo, Evo Morales nemico, Felipe Calderón amico. E’ un gioco delle parti, come le maschere del teatro classico e al popolo bue non si può non dare una verità precostituita. Ci siamo commossi per “le vite degli altri”, il film su come nella RDT la polizia politica controllava capillarmente le vite dei cittadini. Chi scrive non ha mai difeso le FARC ma non per questo domando conto del perché “le vite degli altri”, di quegli inermi cittadini colombiani messi a morte per far numero non meritino neanche un titolo.
In questa sede e su Latinoamerica stiamo denunciando da anni la guerra civile strisciante che insanguina il Messico, trasformato in un narcostato come massima conseguenza del trattato di libero commercio del Nord America. Ma ci domandiamo ingenuamente perché i 5.000 morti di quest’anno, il fatto che in Messico siano stati decapitate nel 2008 più persone di quante ne abbia decapitate Al Qaeda in tutta la sua storia, non meriti mai né una breve né un approfondimento da parte dei nostri giornali.
E’ la stampa a gettone. Quando esce il rapporto annuale di Amnesty International i nostri bravi giornalisti saltano le pagine sulla Colombia e vanno subito alla voce Cuba. E non importa se di qua ci sono migliaia di prigionieri politici e di là poche decine, né che di qua si parli di tortura sistematica e di là Amnesty denunci il mancato cambio settimanale delle lenzuola. Oppure si parla per paginate del “regime Chávez”, che vorrebbe potersi ricandidare, ma del fatto che Uribe (che non è mai “regime Uribe”) voglia anche lui cambiare la Costituzione per restare al potere non si fa mai parola, o se ne fa per applaudire in Colombia quello che si condanna per il Venezuela. E ovviamente si ignora il fatto incontrovertibile che Chávez voglia un referendum mentre già nel 2006 Uribe si fece rieleggere cambiando la Costituzione comprando (le condanne sono passate in giudicato) voti di parlamentari.
Il problema è il silenzio tombale su tutto quello che è scomodo all’informazione mainstream che è così presuntuosa da pensare di poter censurare le notizie scomode senza pagare dazio. Ma così il giornalismo perde totalmente senso. Si lamentano della crisi della stampa e danno la colpa ai lettori. Ma secondo il rapporto CENSIS 2008 solo un italiano su tre crede ancora ai giornali e alla televisione. Addirittura l’82% degli italiani (più del doppio dei tedeschi) crede che la nostra informazione sia viziata dalla politica. Sono dati che indicano che gli italiani sanno perfettamente di avere a che fare (e non solo per l’America latina) con passacarte e burattini in un’informazione che non è più neanche parziale. E’ semplicemente impresentabile.