Che il presidente della Repubblica argentina, Cristina Fernández de Kirchner, scelga di andarsene a Cuba il giorno dell’insediamento del Presidente degli Stati Uniti e incontri l’influente pensionato Fidel Castro, che da settimane la solita grande stampa dava in coma o già morto, e lo trovi in ottime condizioni, è di per sé una notizia.
Ma il rilievo politico non sta tutto nell’incontro, nel peso politico della visita ufficiale del primo presidente argentino dopo Raúl Alfonsín 23 anni fa, sta nel segnale lanciato da Argentina e Cuba all’uomo appena insediatosi alla Casa Bianca. Per Fidel è “un uomo sincero” e “con buone idee”.
Barack Obama è il decimo presidente degli Stati Uniti da quando Cuba ha smesso di esserne una colonia di fatto ed è il quinto da quando con la caduta del muro di Berlino l’isola grande non è più un satellite dell’Unione Sovietica per essere un piccolo ma rilevante attore autonomo della politica internazionale. Un dato di fatto che potrebbe indurre Obama e il suo segretario di Stato, Hillary Clinton, a riconsiderare mezzo secolo di errori e di crimini iniziati con l’invasione della Baia dei Porci voluta da John Kennedy.
Buenos Aires è geograficamente molto più lontana dall’Avana di quanto non lo sia Washington eppure quella visita ufficiale e quell’incontro proprio mentre in riva al Potomac due milioni di persone si accalcavano a festeggiare Obama ha un significato preciso. Dal mar dei Caraibi fino alla Terra del Fuoco esiste un solo spazio latinoamericano, esiste un concerto latinoamericano che oramai è tornato ad includere pienamente Cuba, dopo decenni di isolamento preteso dalla superpotenza e Obama e Clinton da questo dato ineludibile debbono partire per disegnare la loro politica cubana e latinoamericana.
Argentina e Brasile, i due grandi paesi del Sud, sono in prima fila nel riconoscere a Cuba di aver tenuto alta la bandiera dell’integrazione latinoamericana in tutti questi 50 anni anche quando le due lunghe notti, quella delle dittature e quella neoliberale, rendevano ogni paese del continente una monade completamente isolata dalla regione (salvo che per il Piano Condor, il sistema di sterminio voluto dal Nord) in un sistema economico pienamente coloniale così come tracciato dalla teoria del sottosviluppo.
L’Argentina e il Brasile sono state in prima fila non solo nel dare impulso al pieno reinserimento di Cuba nella comunità internazionale, ma nel costruire una relazione forte con il Venezuela Bolivariano, nel rompere insieme le relazioni con il Fondo Monetario Internazionale, nel difendere la Bolivia dal golpismo finanziato dal Nord, nel dare impulso a tutte le istituzioni integrazioniste, dal Mercosur a Unasur, al Gruppo di Río, al Banco del Sud e nel rifiuto dell’ALCA, il trattato di libero commercio coloniale che gli Stati Uniti volevano imporre al continente.
Oggi l’America latina si profila come un attore capace di parlare come tale forse più di altri ben più consolidati, come la Unione Europea. Parlando alla Scuola latinoamericana di Medicina, la gloriosa istituzione cubana che in questi anni ha laureato decine di migliaia di medici latinoamericani provenienti dalle classi popolari e che solo a Cuba hanno potuto studiare gratuitamente per poi tornare nei loro paesi a mettersi a disposizione della loro gente, Cristina ha detto: “Presto o tardi i popoli trionfano. E questo è quello che sta succedendo nella Nostra America latina”.
Rivolgendosi ai paesi considerati ostili, quelli islamici in primo luogo, Obama ha usato uno dei passaggi più evocativi del suo discorso: “se sarete disposti a sciogliere il pugno vi tenderemo la mano”. Ebbene Fidel e Cristina insieme hanno ribaltato il discorso di Obama: “Gli Stati Uniti hanno sempre mostrato il pugno contro di noi senza mai riuscire a vincerci. Oggi il concerto latinoamericano, se gli Stati Uniti accetteranno di riconoscerlo in quanto tale e sapranno sciogliere il pugno, è disposto a tendere la mano”.