Forse è vero che Ignazio Marino è partito con il piede sbagliato usando il caso del maniaco coordinatore di un circolo PD per sollevare la questione morale.
Forse è vero perché uno stupratore (presunto) come il rutelliano Luigi Bianchini è ben più difficile da individuare di un corrotto, un mafioso, un clientelare, un dirigente che concepisce la politica solo come “una certa reciprocità di favori” per usare il titolo di un bel libro di Paolo Pezzino sulla storia della mafia.
Forse è vero ma la reazione squadrista con la quale Marino è stato aggredito dal resto del suo partito ha testimoniato che il dottore, pur sbagliando bersaglio, aveva comunque colto nel segno di uno dei limiti fondativi del PD, quello di avere archiviato qualunque tensione etica e morale e aspirazione al cambiamento della società in favore di una più generica governabilità che porta a chiudere spesso non uno ma entrambi gli occhi.
Il più post-ideologico dei partiti italiani è oggi ridotto alla logica maoista del “non importa di che colore sia il gatto basta che acchiappi i voti”. Lo abbiamo visto a Firenze, una città con una ineguagliabile storia democratica, ridottasi ad avere come sindaco un qualunquista della più bell’acqua come Matteo Renzi, che Guglielmo Giannini sarebbe stato orgoglioso di avere tra i suoi, e la cui ideologia si può riassumere in “appalti, appalti, appalti”.
Nel PD la questione morale è enorme, ha detto il candidato alla segreteria Marino. E allora, superato il centralismo democratico e le Frattocchie, bisogna capire qual è il sistema di selezione dei dirigenti del partito. Se ancora per cooptazione dall’alto, con le responsabilità che ne competono a chi ha il potere di cooptare. Se per capacità di tessere relazioni esterne più o meno limpide, e allora i meccanismi democratici divengono un simulacro e il partito è occupato da un’élite mai rappresentativa della base. Oppure se per investitura dal basso, con il pericolo che questa si trasformi in una conta di tessere come rischia di avvenire se, come si augurano Bersani, Franceschini e i rispettivi apparati, la conta si concluderà al congresso senza andare alle primarie.
Di sicuro, se da Primo Greganti in avanti nel PCI-DC-PDS-PPI-DS-Margerita-PD la presunzione d’innocenza è diventato un dogma per rendere intoccabili i più impresentabili dei dirigenti e avere una buona scusa per l’appeasement con Silvio Berlusconi fino a fare del giustizialista Antonio di Pietro il primo dei nemici del partito, poi non ci si può stupire se uno stupratore seriale diventa coordinatore di un circolo del Partito Democratico. La moglie di Cesare, la moglie di Cesare, la moglie di Cesare…