Oggi è una fredda domenica d’inizio inverno in sudamerica, ma è soprattutto una giornata di democrazia nel Río de la Plata e in Honduras dove si terrà il referendum per decidere se in novembre verrà eletta un’Assemblea Costituente che dovrà scrivere una Carta che metta fine a una lunga storia di disuguaglianza e ingiustizia sociale e fermare lo sfruttamento senza limiti del paese da parte delle multinazionali imposto dal Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti.
Tenere il referendum è la miglior risposta al tentativo di golpe messo in atto dall’esercito e dai poteri forti del paese centroamericano condannato dall’ONU, dall’Organizzazione degli Stati Americani (quindi Stati Uniti compresi), dall’Alba, ma non (stranezze della politica) dall’Internazionale Socialista o dall’Unione Europea. Quello honduregno sarebbe (ma la tensione è ancora alta) il secondo colpo di stato che fallisce nel XXI secolo in America latina per la reazione di massa della popolazione in difesa del governo democraticamente eletto dopo quello venezuelano dell’11 aprile 2002 ed è tanto più significativo che una reazione popolare così importante si registri nella regione più fragile, il centroamerica, della Patria grande che più lentamente del resto del Continente sta iniziando a cambiare.
Il perché il referendum di oggi abbia provocato addirittura un golpe è presto detto: sarà una pietra miliare nella storia del paese. In Honduras infatti ben il 30% del territorio nazionale è stato alienato a imprese straniere, soprattutto dei settori minerari e idrici. Le multinazionali quasi non pagano tasse in un paese dove tre quarti della popolazione vive in povertà. Così l’opposizione, al solo odore di una nuova Costituzione che affermi che per esempio l’acqua è un bene comune e che imponga per lo meno un sistema fiscale che permetta processi redistributivi, è disposta a spezzare il simulacro di democrazia rappresentativa che evidentemente considera utile solo quando sono i poteri di sempre a comandare.
Completamente diversa è la situazione in Argentina dove si svolgono elezioni parlamentari di metà mandato. E’ in ballo la maggioranza parlamentare per la presidente Cristina Fernández. Soffia un vento di destra, è stata una campagna elettorale particolarmente sporca dove i problemi reali del paese, la povertà estrema di troppi, restano sullo sfondo o sono banalizzati, tra un governo che si vanta di risultati migliori di quelli reali e un’opposizione che preferisce la deriva securitaria. La sfida più importante è a Buenos Aires dove l’ex presidente Nestor Kirchner si confronta con l’uomo della destra agraria più reazionaria, Francisco de Narváez, securitario a parole, narcotrafficante nella pratica. Dovrebbe farcela Don Nestor ma l’alternativa di sinistra tra il centro peronista e la destra arrembante è quella del Proyecto Sur di Pino Solanas, il grande regista da mezzo secolo testimone lucido della storia di un paese e di un continente.
Dall’altra parte del fiume, a Montevideo, un altro grande vecchio, José Mujica, el Pepe (nella foto), testimonierà la continuità delle ragioni di una vita di lotta. In Uruguay la metodicità delle regole democratiche è una religione. Tutti i partiti sono obbligati a tenere regolari elezioni primarie nello stesso giorno per scegliere un unico candidato alle presidenziali. El Pepe Mujica è il chiaro favorito nelle elezioni primarie del Frente Amplio (la coalizione di centro-sinistra al governo in Uruguay con Tabaré Vázquez che ha votato alle 8 di stamane nel quartiere popolare de La Teja) e sarà candidato del centro sinistra alle presidenziali di fine anno.
Guerrigliero tupamaro, fondatore di uno dei gruppi armati più interessanti al mondo le ragioni politiche e culturali del quale sono esaltate oggi, ostaggio della dittatura per 13 anni, vari dei quali passati in un pozzo con l’acqua alle ginocchia, non si è mai fatto piegare. Ministro, grande polemista, raffinato politico e antipolitico (fino a poco tempo fa già deputato continuava a vendere fiori al mercato per vivere) allo stesso tempo, ricorre da sempre in lungo e in largo la riva orientale del grande fiume venendo accolto come uno di famiglia anche nei casolari più isolati. E’ favorito su Danilo Astori, Ministro dell’economista di stampo liberale nel governo di Tabaré.
In novembre Mujica si confronterà con due pessimi candidati della destra rappresentata dai partiti tradizionali. Il Partito Nazionale, los blancos, ripresenteranno il corrotto ex-presidente Cuqui Lacalle, simbolo di un rinnovamento impossibile dove Jorge Larrañaga, l’oppositore interno più presentabile e interessante è dato perdente. Ancor peggio il Partito Colorado, i tratti riformisti del quale si perdono oramai nella memoria delle vecchie generazioni e che presentano il figlio del dittatore, ieri ricorrevano 36 anni dal golpe del 27 giugno 1973, Juan María Bordaberry. Ma gli uruguayani, rispetto agli argentini, sembrano vaccinati.