Ollanta Humala si avvia a vincere il primo turno nelle elezioni peruviane. Con l’85% dei voti scrutinati ha il 30% dei suffragi contro il 24,9% della candidata fondomonetarista Lourdes Flores e il 23.5% del candidato “craxiano” Alan García. Come si vede è un risultato parzialissimo e l’unica sicurezza è che a maggio si andrà ad un ballottaggio.
Qual’è il problema allora? Il problema è che Ollanta è uno, nessuno e centomila. Nessuno sa realmente cosa sarà una eventuale presidenza Humala in Perù. Potrebbe essere un nuovo Chávez, è vero. Ma può essere un nuovo Lucio Gutierrez, il presidente ecuadoriano che fece il pieno del voto di sinistra e dei movimenti indigeni e si rivelò essere il più osservante esecutore dei disegni di Washington fino ad essere rovesciato da quegli stessi movimenti popolari che lo avevano eletto. Oppure potrebbe essere un nuovo Velasco Alvarado, il militare progressista, presidente -non costituzionale- del Perù dal 1968 al 1975.
Sulla figura di Ollanta si è scritto a fiumi, senza chiarirne l’essenza di un futuro governo. Il candidato ha 43 anni, ha seguito una carriera militare che lo ha visto probabilmente coinvolto nella guerra sporca degli anni ’80 e primi ’90. E’ stato lider del movimento etnocacerista, dal nome di un generale peruviano della fine dell’800 che non accettò la sconfitta nella guerra del Pacifico contro il Cile e continuò a combattere una guerra di guerriglia. Nel 2000 fu alla testa di una minuscola ribellione militare contro la dittatura civica di Alberto Fujimori. Ne uscì bene e nell’ottobre passato ha fondato il Partito Nazionalista Peruviano (PNP). Cattura il voto di sinistra -per mancanza di alternative?- ma il suo discorso è nazionalista classico, pur se con tinte fortemente anticolonialiste.
Humala dunque non ha una storia “chavista”. Laddove Chávez si sottrasse alla repressione del popolo ordinata dai governi “democratici”, Ollanta -peraltro giovanissimo- partecipò alla guerra sporca contro Sendero Luminoso e la popolazione civile.
L’appoggio di Chávez e Evo Morales alla sua travolgente campagna è stato tiepido anche se Ollanta ha esaltato in tutti i modi questa vicinanza. E’ chiaro che quello che desidera il popolo, in ogni paese dell’America depredata dal trentennio fondomonetarista, è andare nel cammino tracciato da Chávez. Quindi molti peruviani che stanno votando Ollanta, stanno in realtà votando Chávez, o Evo Morales ben oltre la reale vicinanza tra il PNP, il MAS boliviano o il MVR venezuelano. Il rischio grave è che un’eventuale deriva autoritaria di Ollanta Humala possa causare difficoltà al resto del continente.
Il suo discorso -al di là di parole d’ordine antifondomonetariste e antiliberali- è infatti molto marcato da un nazionalismo classico con tinte militariste forti. Chi scrive teme concretamente che -soprattutto in caso di crisi- Humala possa essere tentato dallo spingere l’acceleratore verso un confronto duro con l’altro governo militarista della regione, quello cileno presieduto da Michelle Bachelet. Le antiche questioni marittime, potrebbero costringere anche la Bolivia di Evo Morales in quest’abisso. Sarebbe la peggior tragedia possibile.
Dunque un eventuale governo Humala porta con sé molteplici preoccupazioni che la pratica di governo si incaricherà di confermare o dissolvere. Vanno però sottolineate due cose: anche in Perù un altro mondo è finalmente possibile e comunque Humala è il migliore -o meno peggiore- dei candidati.
Il sorgere dal nulla della candidatura Humala significa che anche in paesi come il Perù, con un tessuto di movimenti sociali indubbiamente meno sviluppato rispetto a realtà come quella ecuadoriana o boliviana -per rimanere nella regione- il dogmatismo fondomonetarista è in rotta e l’influenza di Washington è in caduta libera. C’è un’onda antifondomonetarista in tutto il continente e Ollanta è stato il più rapido a salirvi sopra.
Ancora cinque anni fa Alejandro Toledo riuscì a vendere un programma ortodossamente neoliberale come progressista. Dopo pochi mesi il suo governo aveva solo l’8% di consenso popolare. Oggi non si può più vendere “gato por liebre”. E indubbiamente Ollanta Humala oggi è l’unica opzione non impraticabile per il Perù. Lourdes Flores rappresenta la più greve oligarchia filostatunitense e Alan García non le si discosta molto. Già conosciuto, nella seconda metà degli anni ’80 fu uno dei peggiori presidenti della storia. Humala è forse un salto nel buio, ma le due alternative sono sicuramente peggiori. Starà ai movimenti sociali ed alla sinistra peruviana, frammentata in mille pezzi e che per disperazione appoggiò perfino il primo Fujimori pur di evitare il pessimo Mario Vargas Llosa, risolvere l’arcano.