Giovedì sera è andata in scena ad “Anno Zero”, in una trasmissione dedicata ai giovani e Gaza, una rappresentazione chiara del bivio di fronte al quale si trova il più di massa dei media, la televisione. Non è in questa sede importante riprendere le polemiche e giudicare il plotone di esecuzione schierato in queste ore contro Michele Santoro e gli arcangeli e i serafini in fila a santificare Lucia Annunziata. Ma è importante fare un altro tipo di riflessione che concerne il medium.
Chi va in televisione può fare tre tipi diversi di cose. Può performare, ovvero dimostrare cosa sa fare o cosa conosce, ballare, cantare, far ridere, rispondere a quiz come a “Lascia o Raddoppia”. Può narrare, raccontando fatti reali o inventati, in un reportage o in una telenovela. O infine può conversare, dei massimi sistemi, in maniera aulica o del più e del meno, giù giù fino a “Porta a porta”.
L’imbarbarimento della vita televisiva è dato dal disequilibrio tra questi tre grandi filoni. La performance è di fatto scomparsa. Nell’impoverimento culturale della società i quiz sono diventati idioti perché è fastidioso e controproducente far vincere dei soldi a qualcuno solo perché sa. Per far ridere poi in genere bastano quattro parolacce e qualche allusione sessuale. Perfino nelle vecchie tribune politiche si performava, si sciorinavano dati, si mostrava un eloquio da retori oggi sostituito dalle torte in faccia.
Anche la narrazione in tivù è in crisi. I documentari sono confinati sul satellite e i reportage li fa solo quel comunista di Riccardo Iacona. D’altra parte anche le storie ce le siamo finite e non si può fare una nuova edizione di “Guerra e pace” o “I promessi sposi” ogni 10 anni. Del resto “il pubblico non capirebbe”. Le soap poi sono un surrogato di conversazione tanto che molti format e reality sono delle soap camuffate.
La conversazione quindi trionfa in tutte le sue forme. Chiacchiere più o meno vuote nelle isole dei famosi, chiacchiere rigorosamente vuote nei programmi di approfondimento giornalistico, Porta a porta, Ballarò eccetera. Oramai i politici vanno in tivù (probabilmente imbottiti di stupefacenti) aspettando solo il momento di alzare la voce e avventarsi sulla controparte perché è sul wrestling che ritengono che il popolo bue li giudichi.
In questo modo tutto può passare, si può far passare come esperto un fanatico destinato al girone degli iracondi come Edward Luttwak, oppure trattare come statisti personaggi con condanne gravi come Marcello dell’Utri. Basta far sparire i fatti, anche se si parla di argomenti serissimi. In questo modo una ragazza messa lì ad accavallare le gambe può essere chiamata a parlare (sic) di genetica o di Resistenza e il suo punto di vista essere anteposto a quello di Rita Levi Montalcini o Claudio Pavone che hanno dedicato ai rispettivi campi di studio tutta la vita.
Il meccanismo è perverso. Per poter far credere ai telespettatori che la guerra è bella, che la precarietà è un bene, che gli immigrati sono cattivi o che la mafia non esiste devono sparire i fatti, la narrazione dei fatti. Solo così possono essere contrapposte su un piano di parità tesi che pari non sono.
Cosa c’entra con tutto ciò Michele Santoro?
Michele Santoro, nella trasmissione di giovedì sera non fa bella figura e forse non ha nemmeno il pieno controllo sull’evoluzione della stessa. Fa un errore marchiano dicendo all’Annunziata “stai acquisendo dei meriti nei confronti di qualcuno”, ha ragione ma la fa passare da vittima, ma soprattutto commette (il secondo probabilmente in maniera preterintenzionale) due peccati capitali.
Il primo peccato capitale è che ha proposto dei frammenti di narrazione giornalistica in un contesto che è percepito come destinato solo alla conversazione. Ha mostrato le immagini. E le immagini parlano, non sono neutre. Se i fatti narrano, come ha dimostrato il reportage di Lorenzo Cremonesi sul “Corriere”, o il successo del blog di Vittorio Arrigoni da Gaza, ipotecano il dibattito che non può più prescindere da esso. A quel punto non esistono più due realtà virtuali contrapposte per par condicio. Ci sono i fatti che pendono da un lato, piuttosto che dall’altro. Non puoi più cambiare argomento, alzare la voce, tergiversare. Devi commentare quello che vedi senza eluderlo. Questo per lo stato attuale dell’informazione in Italia è intollerabile.
Di cosa è accusato Santoro? Di strumentalizzazione. Di cosa? Dei fatti. Come se si potesse prescindere da essi. Come ha calcolato Elia Banelli su Agoravox gli ospiti di Santoro giovedì erano perfettamente in equilibrio tra pro-israeliani e filo-palestinesi. Nel paese della par condicio è indispensabile che così sia anche se si parla di calcio. Nello specifico, se si mostra come ha fatto Santoro il fatto che i morti in Medio oriente sono in una proporzione di cento palestinesi per ogni israeliano e che un terzo di tali morti sono bambini si viene accusati di fare un’operazione di propaganda filopalestinese o addirittura filo-Hamas (che non è lo stesso ma tutto serve per estremizzare i toni). In realtà i palestinesi in trasmissione, a partire da Rula Jebreal, erano contro Hamas o agnostici.
Il problema allora non era nel dibattito; era nei fatti con i quali i politici e (quel che è peggio) i giornalisti non sono più abituati a fare i conti. Se i fatti, la proporzione di 100 morti contro uno, pendono a favore di una parte, i fatti stessi sono considerati una intollerabile deviazione rispetto alla par condicio che serve a dire tutto e il contrario di tutto. Quando crollò l’Argentina neoliberale l’unica maniera di difendere le politiche del Fondo Monetario Internazionale era prescindere dai fatti: sul dilagare della povertà, sulle morti per fame, sulla disoccupazione strutturale in un paese abituato alla piena occupazione, su un paese deindustrializzato dal modello bisognava glissare. Anche allora i fatti infastidivano chi voleva negare l’evidenza. Oppure leggete le dichiarazioni degli avvocati difensori dei manager della Thyssen Krupp su cosa pensano del “clamore mediatico”, ovvero dei fatti?
Con i fatti, i bambini morti, diviene impresentabile un Andrea Nativi che magnifica la straordinaria efficacia delle bombe a frammentazione o al fosforo o che ci vuol convincere che è normale per chi guida un elicottero d’assalto far tante vittime civili. Chi ha visto la trasmissione ha osservato la stizza di Nativi stesso ogni volta che veniva mostrato un frammento di narrazione su quello che si vede che è successo a Gaza, i fatti.
Sembrava dire, Nativi, “ma se mostrate i fatti le mie chiacchiere perdono peso, nessuno crede più che le armi siano bellissime. Non è giusto, se narrate i fatti allora il dibattito non è più equilibrato”. Squilibrato dai fatti. Nessuno infatti ha messo in dubbio gli effetti nefasti e criminali dei razzi sul Neghev. Il problema è che i razzi su Sderot o Ashkelon restano intollerabili solo fino a che non vengono paragonati a quanto sta accadendo a Gaza, fino a quando una narrazione artificiosa dei fatti fa credere che i tre (3) morti causati dai razzi di Hamas in tre settimane siano equivalenti (o addirittura più gravi) agli oltre mille causati da Tsahal.
Il secondo peccato capitale di Michele Santoro è di aver sostituito per la conversazione i soliti navigati politici, giornalisti, docenti universitari, pronti a mettere in scena il solito teatrino stando alle regole del gioco, con dei ragazzi. Dei ragazzi italo-israeliani e dei ragazzi italo-palestinesi. Dei ragazzi, soprattutto le due ragazze, che hanno scatenato la reazione di Lucia Annunziata, che hanno usato i mezzi conversazionali del XXI secolo: hanno strillato come matte.
Entrambe presentabili, parlando un ottimo italiano, sufficientemente colte, carine, sicuramente entrambe in buona fede, hanno sbattuto l’una sulla faccia dell’altra gli argomenti di un conflitto irrisolvibile con le armi, dove non tutto è bianco né nero (come sostengono la Annunziata o Claudio Pagliara o in maniera speculare i fan italiani di Hamas, “intifada fino alla vittoria”).
A quel punto, con quelle due oneste ragazze, l’italo-israeliana e l’italo-palestinese, completamente fuori controllo a rinfacciarsi l’una all’altra 60 anni di conflitto e di pregiudizi il re era nudo. Il re della televisione. La tivù, quando sostituisce la narrazione con la conversazione, quando si mostra equidistante, in realtà sta solo prendendo le parti di chi è più distante dai fatti, per farsi strumento di dominio e di falsificazione della realtà stessa.
Il palesamento di questa realtà, per una ex-presidente della RAI come l’Annunziata, non era accettabile: “Michele, questo conflitto in mano a due ragazze non si può mettere”. L’unica conversazione possibile è un minuetto tra cicisbei che urlano, strepitano ma stanno al gioco. Se si sostituiscono con due ragazze in buona fede il castello di carte cade. E, di nuovo, restano i fatti.