Il 2008 si chiude con un triste record negli Stati Uniti. La deportazione di 154.000 migranti messicani e centroamericani. E’ il 46% in più del 2007 e il 2009 potrebbe essere un anno tragico. Secondo alcune stime fino a tre milioni di messicani emigrati negli Stati Uniti, travolti dalla crisi del neoliberismo e dal fallimento del Trattato di libero commercio, potrebbero essere indotti a tornare a casa, senza sapere a far cosa.
Sono pubblici i dati dell’ICE, Servizio immigrazione e dogane degli Stati Uniti d’America per l’anno 2008 e fanno rabbrividire. Potrebbero riempire tre grandi stadi il numero di persone espulse con la forza dal paese ancora governato da George W Bush che ha sempre usato il rubinetto dell’immigrazione come strumento di controllo sociale e del mercato del lavoro.
Quando le cose vanno bene, l’immigrazione, soprattutto latina, è tollerata perché serve a calmierare il costo del lavoro con l’ingresso di mano d’opera precaria e spesso clandestina. Quando le cose vanno male si scatenano i Minutemen (versione hard texana delle ronde padane) e i migranti vengono gettati via come fazzoletti usati.
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