«Libertà per liberare la vita» così si intitola un numero della rivista radicale «Diritto e Libertà». Un titolo che riassume il senso più profondo che ho cercato di attribuire a ciascuno dei desideri che si agitano in me da quando in modo burrascoso, violento e sconvolgente sopravvivo alla sclerosi laterale amiotrofica. Desideri che si dilatano o si restringono, che vanno verso le persone e le cose del mondo o si allontanano da esse.
Non essendo io, né forte, né coraggioso, riconoscendo i miei limiti e la mia finitezza, vorrei guardare il futuro e al futuro con la consapevolezza di riuscire ancora a trasportare altrove i miei sentimenti e le mie azioni. Queste ultime sono doverose quanto mai necessarie. Così come è doveroso, quanto mai necessario, creare, ricreare motivazione e partecipazione per tentare di vincere il tempo delle ipocrisie, della mediocrità e della precarietà del diritto, della democrazia, della legalità.
Vorrei davvero che questo primo passo di riflessione e di proposizione di intenti che si è appena compiuto a Fiuggi, orientasse tutti noi a ricercare trame di conoscenza in chiave di ieri, contigue e continue, in chiave di domani. Che possano le identità storiche, politiche, sociali e culturali di ciascuno di noi, confluire in una nuova realtà, in un nuovo imperioso progetto politico.
Per me la battaglia di «libertà per liberare la vita» sta divenendo ancor più difficile, al limite del possibile quando il respiro diviene più corto, quando momenti di difficoltà respiratoria o dispnea soprattutto durante la notte, impediscono un adeguato scambio di aria, perché è compromessa la funzione dei muscoli respiratori, perché la malattia fa diminuire, il livello di ossigeno nel sangue e aumentare quello della anidride carbonica. Il mio neurologo mi ha suggerito di pianificare, se decidessi di protrarre la mia esistenza, l’intervento di tracheotomia, l’intervento che consente ad una persona di vivere attaccata ad un ventilatore meccanico. Il discorso mi è sembrato semplice. Non so come sia vivere per mezzo di una macchina. La morte si sa è una realtà che appartiene all’esistenza e al vivere, imprescindibile, in qualche modo rimossa e negata dalla società italiana, dove il morire, l’ars vivendi la morte, è vissuto come fatto emotivo esclusivamente personale ed isolato.
È difficile dunque, parlare con libera franchezza, con libertà, della morte, non per esorcizzarla o per svelarne il mistero se un mistero della morte esiste, quanto piuttosto come questione sociale, come problema politico laddove il morire è legato a condizioni estreme di dolore e sofferenze, intollerabili.
L’eutanasia deve porsi al centro del dibattito sociale.
Ecco dunque il diritto alla dignità del morire, il riconoscimento del diritto di morire dignitosamente, il riconoscimento della volontà del morente, libera, autentica volontà assunta come norma che preveda e garantisca, la manifestazione della coscienza di ciascuno di noi, che non esprima altro significato se non quello intimamente voluto. Per quanto riguarda la semplicità e la logicità del discorso del mio neurologo circa la ventilazione invasiva, non mi fa sentire affatto tranquillo. La scelta, qualunque sia, è una scelta di sofferenza, di dolore e forse per la prima volta di estremo coraggio. Vi parlo dalla mia casa in Orvieto. Da qui voglio annunciare che il Quarto Congresso dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica si terrà proprio ad Orvieto dal 2 al 4 dicembre 2005. La scelta della mia città natale, dove vivo non è casuale o semplicemente legata alle mie attuali condizioni di salute sebbene riguardano oggi una capacità respiratoria compromessa e a rischio. Ho scelto la mia città perché la battaglia per la libertà, per liberare la mia vita, per darci e dare una speranza a milioni di malati, per la difesa dei diritti dei deboli e degli oppressi, di chi è senza voce, è iniziata per me qui, quando ancora le mie mani potevano azionare una leva che mi consentiva di ?viaggiare? in aperta campagna su di uno scooter elettrico per disabili. Un viaggio dove i sogni di un uomo giovane e libero, ancora vivo, si sono infranti, ma dov’anche ho iniziato a costruire o meglio a ricomporre i pezzi di un io a volte a me sconosciuto, per un nuovo me stesso e ha percorrere la strada che voi tutti conoscete. Questo anno festeggio il mio decimo anno di lotta alla sclerosi laterale amiotrofica e non potevo che ricostruirla e rigenerarla in un luogo che ho visto per un po’ di tempo terra estranea e straniera.
Concludo con alcune parole di Jacques de Bourbon Busset: non occorre «divinare l’avvenire probabile, ma preparare l’avvenire auspicabile, e procedere anche più oltre: sforzarsi di rendere probabile l’avvenire auspicabile». Se davvero riuscissimo a rendere possibile, il futuro desiderabile, il progetto politico augurabile, il Paese ne uscirebbe forte in termini di legalità, di democrazia, di rispetto e di riconoscimento di diritti civili, ne uscirebbe rafforzato in termini di uguaglianza nel combattere ogni forma di oppressione e di ingiustizia, di integralismo e di fondamentalismo, per una sorta di morale della responsabilità per laici e credenti.