Articolo aggiornato lunedì 3 novembre ore 7.50
Silvio Berlusconi starebbe pensando di imbrigliare Mariastella Gelmini e frenare sulla Riforma dell’Università che sarebbe stata approvata per Decreto Legge la prossima settimana? E’ quanto si evince dal servizio di SkyTg24 qui sopra e dal pezzo di Claudio Tito a p. 7 di “Repubblica” di domenica. Riguarda la riforma annunciata in settimana dalla Gelmini e che sarebbe stata cotta e mangiata convertendola in DL nel prossimo Consiglio dei Ministri (con cosette di poco conto come l’abolizione del valore legale del titolo di studio). Sarebbe una prima vittoria parziale dell’ONDA, il movimento studentesco che ha preso forza in questi giorni fino a preoccupare un governo che fa della gestione mediatica del consenso un aspetto fondamentale.
Succeda quello che succeda vi presentiamo le grandi linee della riforma che distruggerà l’Università pubblica.
Anche se sono arrivate le smentite, prima fra tutte quelle del portavoce Paolo Bonaiuti, la situazione è confusa. Spezzoni di AN e la Lega sarebbero prudenti ed è possibile che si scelga un percorso più prudente, in parte con decreto legge e in parte con un normale progetto di legge. Secondo le indiscrezioni l’eventuale rinvio a momenti migliori sarebbe dettato proprio da Silvio Berlusconi (con il parere decisivo di Gianfranco Fini che avrebbe insistito in merito) per evitare una temuta saldatura definitiva tra scuola e università. Fino a metà settimana proprio Berlusconi dichiarava di non temere l’autunno caldo tanto da appoggiare l’annuncio della riforma da parte della Gelmini. Il rallentamento invece sarebbe un inizio di delegittimazione del gruppo dei talebani di Forza Italia, di Mariastella Gelmini, che finora aveva avuto campo libero, ma in misura minore anche di Renato Brunetta e perfino di Giulio Tremonti.
Saranno le prossime ore a dirci se quest’indiscrezione sarà confermata o se il governo sceglierà di nuovo lo scontro frontale sull’Università che viene vista come un ridotto della sinistra sul quale esercitare politiche dure guadagnando consenso facile nell’opinione pubblica di riferimento.
Ma in cosa consisteva (o consisterà) la Riforma che avrebbe inciso durissimamente sulla vita delle Università pubbliche dopo i tagli economici già passati con la Legge 133? I contorni sono chiarissimi:
1) Fine del valore legale del titolo di studi. E’ una riforma di portata storica e di valore amplissimo, che, comunque la si pensi, non può essere certo approvata per decreto ma con un intenso dibattito nel paese.
Nonostante nei prossimi anni si terranno un numero limitatissimo di concorsi in tutte le pubbliche amministrazioni, locali e nazionali, immediatamente il valore delle lauree del 70-80% degli atenei calerà e quelle del resto crescerà. Alcune Università o Facoltà di sedi periferiche saranno immediatamente frequentate solo da chi non si può permettere alternative e saranno ridotte, se sopravviveranno, all’inedia, senza più alcuna possibilità di fare ricerca scientifica. Quelle che non avranno i numeri saranno brutalmente chiuse.
E’ un cambio di paradigma enorme tutto interno al campo neoliberale. Meno di dieci anni fa era proprio la CONFINDUSTRIA che teorizzava il raddoppio delle Università del paese fino a 200 (oggi sono meno di 100) proprio per legarle al territorio e al mondo del lavoro. Adesso il mondo delle Università che la proliferazione di sedi periferiche e spesso improbabili voluto da Confindustria ha dovuto subire, paga le conseguenze.
Fatto sta che l’ammissione ad atenei che verranno considerati di Serie A sarà richiestissima da chi potrà pagare (già la 133 riduce del 60% i fondi destinati al diritto costituzionale allo studio dei capaci e meritevoli) e innescherà un circolo virtuoso (sic) che renderà conveniente ai privati investire o addirittura acquistarle. Voci ripetute vedono già il Monte dei Paschi pronto ad acquistare la plurisecolare Università di Siena. Un esperimento pilota proprio nel cuore della Toscana.
2) Proprio per favorire le privatizzazioni ci saranno importanti agevolazioni fiscali (i teorici dell’economia indicano nelle agevolazioni la forma meno vistosa di privatizzare) ma soprattutto le Università fondazioni erediteranno a costo zero del patrimonio immobiliare delle stesse, una regalia per miliardi di Euro a chi privatizzerà. Come per l’Alitalia e in mille altri casi, anche la privatizzazione delle università in Italia avverrà a spese dell’erario pubblico e corrisponderà al primo comandamento del nostro capitalismo: “privatizzazione degli utili, socializzazione dei costi e delle perdite”.
3) Blocco immediato totale degli attuali concorsi, anche di quelli banditi nel 2007 e 2008. Quando i concorsi riformati riprenderanno nessuno di questi comporterà posti di lavoro a tempo indeterminato. Ciò varrà anche per le progressioni di carriera. E’ una misura unica al mondo che priva in maniera punitiva e ricattatoria il mondo della ricerca italiana di qualunque sicurezza lavorativa. Nonostante le rampanti campagne di disinformazione siete proprio sicuri che un ricercatore a 1.200 euro al mese sia il laido membro di una casta da colpire come viene descritto dai media?
4) GREMBIULATA! Come per il 5 in condotta o il grembiule alle elementari, il tutto sarà nascosto dietro una misura demagogica particolarmente facile per l’opinione pubblica: l’impedimento a parenti di docenti a partecipare a concorsi nelle stesse sedi. Nonostante il nepotismo sia una piaga da sanare nell’Università italiana, in ogni caso non più del 2-3% dei concorsi “orientati” riguarda parenti di cosiddetti “baroni”. Solo una strutturale riforma dei concorsi, ma soprattutto l’immissione di forze fresche nel mondo universitario, potrebbe migliorare le cose. Ovviamente non se ne fa parola. Di nuovo, come per la 133 non vi è alcuna misura costruttiva ma solo distruttiva.
Tutto questo sarebbe (stato) approvato per decreto legge la prossima settimana in consiglio dei ministri. Ma adesso Silvio Berlusconi avrebbe frenato. Se confermata la cosa sarebbe un primo straordinario successo del movimento degli studenti e dei docenti e vedremo se si aprirà la possibilità di dialogare o inizierà una drôle de guerre con il governo in attesa del momento migliore per la stoccata.
A questo punto si conferma l’idea che il bruttissimo pezzo di Raffaello Masci a p. 5 de “La Stampa” di giovedì (quello dei baronetti…) sia stata una volontaria fuga di notizie (una specie di Lago della Duchessa?). Chi scrive ha condotto una piccola inchiesta giovedì scorso che consente con buona approssimazione di supporre che i toni gratuitamente offensivi in un articolo che era una sorta di scoop e in un quotidiano che non è né “Libero” né “il Giornale” fossero proprio una maniera di usare “La Stampa” per testare le reazioni del mondo universitario.
Cosa succederà ora? Senza la presentazione della riforma, che avrebbe indubbiamente rafforzato le proteste, qual’è il destino delle stesse? E qual’è il destino dell’Università? Il governo, con ancora 4 anni e mezzo di mandato davanti, può permettersi di aspettare e giocare con l’Università come il gatto col topo. Magari, come per la 133, per approvarla il 6 d’agosto, quando il movimento sarà di nuovo al mare. In fondo, Mariastella, che fretta c’è?