Come gli amici più assidui sanno, scrivo con difficoltà di TAV (disegno rubato a Macchianera) e di ponte sullo stretto perché non sono convinto delle buone ragioni dei contrari a tutti i costi, così come non sono convinto delle ragioni dei favorevoli a oltranza (le ragioni dei quali hanno l’handicap di essere esposte da un furbetto del tunnellino come Pietro Lunardi).
Allo stesso modo sono perplesso sulla decrescita come religione che sta prendendo piede in determinate sedi. Ci sarebbe molto da dire. Qual’è la percezione della decrescita per chi non ha il gas in casa? Siamo sicuri che gli ipersviluppati non siano un’infima minoranza nel pianeta?
Credo che un dirigente ambientalista avveduto dovrebbe lottare con tutte le forze per ottenere risorse per mettere in sicurezza un territorio disastrato più che fare il signor no sempre e comunque. Qualunque sia il sistema o il modello di sviluppo, per capirci, un canale per far circolare efficacemente volumi immensi di merci e persone tra Firenze e Bologna deve trovarsi e fantasticare sulla rilocalizzazione dell’economia è, appunto, una fantasia.
Con questo non sto svilendo le ragioni del no che vedo e metto sulla bilancia con quelle del sì, e continuano a non convincermi entrambe le posizioni. Adesso, come nell’antica Grecia, c’è la tregua olimpica, e la battaglia è rimandata a primavera, come la vignetta similBonvi sottratta a Macchianera fotografa bene.
Ovviamente le mie perplessità si fermano di fronte al manganello, ma il vecchio detto su “chi dalla ragione si fa torto” mi ha sempre dato fastidio.
Insomma, lasciamo da parte per un attimo se il tunnel o il ponte sono giusti e lasciamo anche perdere l’apparato repressivo messo in campo dal governo.
E allora quello che mi risulta intollerabile è l’incapacità della classe politica di accettare di mettersi in gioco democraticamente se non nella ritualità elettorale. La popolazione, in questo contesto populistico/maggioritario, è chiamata a dare preventivamente fiducia a un politico delegandolo a prendere decisioni future su temi non ancora in agenda. Questo schema sta mostrando la corda.
Il politico si sente delegato a prendere impegni e poi a nascondersi dietro questi impegni senza ottenere consenso sul tema specifico sul quale ha preso impegni al di fuori della cerchia dei suoi elettori. Io ti voto perché sei di centro-sinistra (o di centro-destra, è lo stesso), tu ti senti libero di firmare impegni (per esempio a Bruxelles, o magari con un imprenditore che ti paga la tangente, ma non è necessario che si arrivi a questo). Poi di fronte al mio protestare perché la tua iniziativa non era nei patti, o andava letta tra le righe, tu politico ti fai schermo dietro patti non presi con me elettore, ma con terzi. Sono patti ai quali certamente in qualche modo ti ho delegato, ma per firmare i quali tu politico oggettivamente non mi hai consultato.
I sindacati fanno un gran vociare del loro “dover sentire la base”, ed in qualche modo gli accordi sono vincolati all’approvazione della stessa. E’ un modello che la politica non riconosce.
I politici, e il loro codazzo di brunivespa e aldiforbice, usano invece un escamotage demagogico: se non ti va bene quello che faccio tra cinque anni non mi rieleggi. Nel frattempo faccio quello che mi pare.
In questo schema c’è l’alterità totale rispetto al modello della democrazia partecipativa, alla possibilità che i cittadini siano consultati a livello locale e/o nazionale su alcune grandi questioni, sulla gestione delle risorse, su quali sono le priorità. E’ chiaro che un grande banchiere non abbia la cultura necessaria per discutere con un geologo sugli eventuali guasti di un tunnel su di un ecosistema. E che il banchiere possa vedere i suoi interessi garantiti solo da accordi diretti con la classe politica. Ma questa non è democrazia.
Nella democraticissima Europa non mi risulta che ci siano mai stati referendum sulle privatizzazioni. In America Latina (quella autoritaria e poco democratica per gli europei) paesi come l’Uruguay e la Bolivia hanno consultato ripetutamente i cittadini sulle privatizzazioni e questi si sono espressi: contro. La lezione che ne va tratta è impressionante. Le privatizzazioni in democrazia non passano, vanno fatte alle spalle dei cittadini, tergiversando. Anche l’ultimo dei leghisti antistatalisti si ribella al pagare un ticket o se gli vogliono chiudere l’ospedale del paese. E allora in democrazia non si devono chiudere gli ospedali, e se si chiudono è perché si è elusa la democrazia. Lo stesso vale per la scuola. E per i tunnel o i ponti. Non sto vaneggiando democrazie dirette nelle quali persone disinformate e manipolabili impongano i loro malumori. Ma è innegabile che su alcuni grandi temi il non coinvolgimento dei cittadini è lesivo della democrazia stessa e che le classi politiche stiano sempre più allontanandosi dal loro elettorato. Massimo d’Alema con chi va a cena stasera?
disegno rubato a Macchianera