In risposta all’amico Bufalo che commenta un altro post qui:
Io credo che il "populismo" come fantasma sia almeno in parte una sorta di paranoia europea. Detto questo, l’Europa ha una tradizione di repubbliche (o regni) parlamentari di lunga data che comporta oggettivamente uno spostamento corretto del "potere reale" alla "società reale" e quindi un processo di democratizzazione più avanzato. Per esempio al di là dell’insipienza delle classi politiche del primo dopoguerra (socialisti, popolari, liberali), le elezioni del ’19 e del ’21 in Italia (proporzionale, partiti di massa, voto alle donne approvato), furono innanzitutto espressione di equilibri più avanzati in Italia, poi spazzati via dal regime.
Al contrario l’intero continente americano è dominato dal presidenzialismo per molti versi imposto dagli Stati Uniti a tutti gli altri paesi. Nel presidenzialismo (tra l’altro) c’è un’indubbia personalizzazione della politica che si lega alle figure simbolo.
Quando questo si associa a figure espressione di progresso sociale, Perón, Velasco Alvarado, Juscelino Kubitschek (nel disegno) in Brasile, ma questo non è accompagnato dall’ortodossia ideologica marxista (rileggiamo Mariategui, per capire che sarebbe impossibile ed in parte indesiderabile) ecco che cade lo stigma di "populista" come accezione negativa. Questa associazione negativa è soprattutto caratteristica dell’Europa e dell’Europa di sinistra. Fintanto che la sinistra era marxista la critica poteva leggersi da sinistra per quanto scarsamente utile fosse. Ma da quando le sinistre si sono riformate, le stesse critiche inutili e figlie della deformazione della realtà data dall’incomprensione dei problemi sono normalmente da destra. Oggi l’accusa di populismo (ovvero stare dalla parte del popolo criticando il volere dei mercati, dell’FMI e dell’OMC) per esempio a Chávez è oggettivamente proposta da destra. Guarda caso nessuno critica Michelle Bachelet, la socialista non populista (all’europea) che sta ortodossamente dalla parte dei mercati e dell’OMC.
Qualunque regime politico ha le sue contraddizioni ed i suoi percorsi tortuosi di ricerca del consenso, ma ciò non può impedire di vedere (per puro dogmatismo) il progresso sotteso dietro storie pur complesse come quella peronista. Guarda caso nessun europeo capisce perché a 50 anni di distanza dal primo colpo di stato fondomonetarista il peronismo sia ancora così centrale nel dibattito politologico argentino e latinoamericano.
Tutto questo, e chiudo, non implica che poi la critica del presidenzialismo stesso nell’intero continente americano (nord e sud) sia sotto zero. E’ tutt’altro discorso, ma nessun governante, soprattutto se progressista, può permettersi di rinunciare agli oggettivi vantaggi che il "potere forte" garantisce. Ovvero, il presidenzialismo nasconde oggettivamente un deficit di costruzione di legittimità democratica nella pretesa di sintetizzare tutto in un capo, ma il suo superamente al momento non è sul tappeto del dibattito politologico latinoamericano.