Quelle del documentario di RAINEWS24 non sono propriamente rivelazioni, almeno non per i 24 milioni di iracheni o quanti ne restano, e per quella ridotta fetta di opinione pubblica mondiale che per mestiere o dovere civile fa la fatica quotidiana di informarsi. Ma sono immagini potentissime che perlappunto vanno sistematicamente depotenziate, per esempio mandandole in onda alle 7.35 di mattina.
Almeno in Italia il solo TG3 ha ripreso edulcorandole ed addolcendole quelle immagini. Gli altri si sono potuti permettere di ignorare. Ma ancora una volta la lezione arriva a chi deve arrivare, che non è certo la casalinga di Voghera. Chi scrive ha denunciato più volte che le foto circolate su Abu Grajib e le inenarrabili torture ivi commesse avevano tutte una ed una sola provenienza e che questa provenienza era interna agli apparati dello stato degli Stati Uniti. Rimando qui ad un mio articolo sul Piano Condor ed Abu Grajib che credo resti pienamente attuale.
La circolazione di quelle immagini fu frutto di un lucido calcolo. Siamo in grado di fronteggiare lo scandalo mondiale che quelle immagini procureranno -del resto disponiamo di schiere di giornalisti mansueti o ammansiti disposti a giustificare tutto e il contrario di tutto- in cambio di un effetto molto più potente. Vogliamo cioè, fu il calcolo della Casa Bianca, che quelle immagini siano monito ai ribelli, in Iraq e nel resto del mondo: la tortura è terribile, dovete temere la nostra tortura, piegatevi o affronterete i più crudeli dei supplizi. Nelle comode case di occidente ci si può indignare, nei quartieri popolari di Baghdad o nella selva colombiana si deve scegliere.
Ci sono notizie che possono circolare e notizie che non debbono circolare ed il controllo sul sistema mediatico mondiale è indispensabile in questo. C’è una parte di opinione pubblica occidentale e mondiale più ampia di quanto noi benpensanti progressisti siamo disposti ad accettare, che considera la tortura indispensabile e perdonabile, almeno in casi estremi. Del resto il parlamento italiano votò un emendamento della Lega Nord che considerava tortura solo la reiterazione del supplizio.
Ci sono cose che restano invece tabù. Tra queste l’uso di armi chimiche, lo stupro sistematico, in parte l’uso dei kamikaze. E su questi tre aspetti è necessario ampliare la riflessione rispetto all’Iraq.
Qualunque voce indipendente esca dall’Iraq denuncia lo stupro sistematico delle donne irachene da parte dei marines che agiscono come lanzichenecchi. Lo stupro, più o meno sistematico è caratteristico di tutte le guerre, ma mal si adatta all’immagine dei buoni liberatori esportatori di democrazia. In Germania furono documentati almeno cinque milioni di stupri, tanto da parte dei sovietici come degli alleati, senza distinzioni ideologiche. I militari, la cultura militarista considera a propria disposizione il corpo della donna del nemico.
Ma almeno di ricorrere a trivialità giustamente da caserma è difficile trovare qualcuno disposto a difendere tale pulsione (o uso scientifico) e quindi la negazione diventa sistematica e totale. Le voci dall’Iraq sono brutalmente silenziate ma i marines stuprano sistematicamente fin dal primo giorno, come anche Javier Couso testimonia. Fai sapere al mondo cosa ci fanno.
Per quanto riguarda l’uso dei kamikaze sappiamo alcune cose: sappiamo che fin dall’inizio la guerriglia, quella popolare e civile, erede e innervata dall’esercito iracheno che ripiega e non viene sconfitto nel 2003 ma sceglie la guerra di guerriglia ed evita così il logoramento di mesi di bombardamenti, grida al mondo inascoltato di non avere MAI usato kamikaze. E’ chiaro che qualcuno li usa i kamikaze in Iraq, Al Zarkawi o chissà chi, ma per molti motivi non è credibile che sia la guerriglia.
Il totem di Al Zarkawi viene evocato ogni volta si debbano giustificare o attribuire efferatezze. Ma la guerriglia non è Al Zarkawi. Sappiamo poco e molto di lui. Di certo sua moglie, nella controllatissima -dai servizi occidentali- Amman, è incinta e… non è questione di corna.
Viene evocato anche per giustificare il martirio di Falluja. “Cercavamo Al Zarkawi”, “Ci risultava esserci Al Zarkawi” e per questo Falluja è la Guernica del XXI secolo.
Gli Stati Uniti non ammetteranno mai di avere usato Fosforo e Napalm contro i civili a Falluja e sanno di poter trovare compiaciuti e compiacenti distinguo nel sistema mediatico mondiale. Eppure non deve dispiacere del tutto il filtrare delle notizie. Di nuovo viene prima di tutto il monito. Non abbiamo limiti nella brutalità. Guardateli i corpi disciolti, la pelle rigonfia coperta ancora dai vestiti intatti. Possiamo fare quello che abbiamo fatto a Falluja con Bagdad, con Damasco, o con Caracas perché no, visto che il Washington Post -buca della posta del Pentagono- fa diligente filtrare oggi i piani di invasione del Venezuela. E più in là c’è il tabù finale dell’atomica, evocato in dosi moderate ma significative da Donald Rumsfeld ogni volta che è necessario. Abbiate terrore, non stiamo vincendo, ma possiamo farvi molto male.