Nella giornata di ieri un intero partito mi ha esposto al pubblico ludibrio, travisando un mio tweet e rendendomi vittima di quella che tecnicamente si chiama “character assassination”, la demolizione di una persona. Nonostante tutto ho voglia di dire la mia.
Domenica mattina scorre sulla mia timeline di Twitter un fastidioso video di un parlamentare del più piccolo partito della maggioranza di governo, che perora la causa degli interessi economici del calcio, confondendolo con lo sport italiano. Calcio, calcio, calcio, penso, in Italia lo sport è quella cosa che si fa dal divano di casa guardando la televisione. Dello sport di base, dell’attività dei bambini, degli anziani, la lotta alla sedentarietà, gli sport minori, la preoccupazione che in due mesi di quarantena l’Italia intera sia ben più esposta a rischi cardiovascolari, non vi è mai traccia, come del resto nei provvedimenti del governo.
Noto che l’attenzione allo sport professionistico e l’indifferenza all’attività sportiva salutistica siano ben rappresentati da un parlamentare che (se non è proibito dirlo) ha un aspetto pingue. Tra le regole della comunicazione non-violenta, che applico con attenzione, c’è però quella di non personalizzare e criticare concetti e comportamenti sociali, non le persone. Ed è quello che faccio anche stavolta, con un tweet (del tutto disgiunto da quello del video, senza né nomi né link) che ha il senso del “come possono parlare di sport dei parlamentari che lo considerano un’attività sedentaria?”.
Il mio tweet era bello? Per niente. Uno dei peggiori che abbia mai scritto, ma perché era mal scritto, non perché volesse offendere qualcuno che esplicitamente NON volevo tirare in ballo. Era sbagliato perché voleva identificare un disvalore in una “maschera” per me anonima (altrimenti l’avrei citata) dell’italiano sportivo da divano. Non avevo considerato che, per molte persone del circuito politico-mediatico, evidentemente proprio per la pinguedine quella persona si faceva riconoscibile. Avrei dovuto considerarlo? Credo di sì e ciò mi dispiace.
Ma è tutto quello che è accaduto dopo a essere totalmente sproporzionato, fuori scala, con la mia vita intera in un tritacarne. Esco a correre. Non ho dileggiato una persona perché obesa, ma anche se l’avessi chiamata in causa – ma non l’ho fatto – se avessi fatto nome e cognome, nulla giustificherebbe la strumentale gogna alla quale sono stato sottoposto per tutta la giornata da parte di un intero partito che ha passato la domenica accanendosi contro di me.
Torno dalla mia corsa. Ci sono già 50-70 messaggi di insulti, il più tenero dei quali mi dà del fascista. Tutti mi addebitano una personalizzazione che io avevo scelto di non fare. Ma è la loro personalizzazione, non la mia. La giustificazione che alcuni danno è che il parlamentare sarebbe molto noto e facilmente riconoscibile. Ma nel loro mondo. Da quel momento sono io la vittima. Avevo diritto di esprimere un concetto, anche mal posto e non condivisibile; loro non hanno diritto di addebitarmi cose che non ho detto o nomi che non ho mai pronunciato. E invece me li addebitano; e non c’è nulla che io possa dire o fare per fermarli. Molti tweet sono stranamente simili l’uno all’altro. Quasi tutti provengono da account creati da poco e con pochissimi follower (inciso: gli account creati da poco e con quattro follower sono creati per queste cose, il che non implica che ci siano legittimi account con pochi follower). Mi intimano di vergognarmi, di chiedere scusa, mi accusano di aver commesso un gesto ignobile. Sono i primi incursori di una “shit storm” contro di me.
Nelle ore successive lo screenshot del tweet viene pubblicato un numero incalcolabile di volte con toni sempre più irosi. Poi il livello sale: prendono la parola decine di parlamentari di quel partito, sempre più duri, sempre più indignati. A deputati e senatori, si aggiunge un coro di quadri minori, assessori, consiglieri di qualcosa. Sono i più ligi nel mostrarsi indignati. Decine di persone che non ho l’onore di conoscere fanno a pezzi la mia vita descrivendomi come se fossi Saddam Hussein.
Un parlamentare registra un video nel quale mi riempie di contumelie in lingua napoletana, giocando addirittura col mio nome di battesimo. Va da sé che l’uso della lingua napoletana sia volto a rigettarmi in quello che temo consideri un ghetto. Una ministra in carica (che mi è spesso capitato di difendere) pubblica su tutti i social il mio viso e il mio nome con un’enorme VERGOGNA stampigliato a caratteri cubitali. Anche questa immagine viene riprodotta innumerevoli volte. Non c’è più alcuna relazione tra quanto di sbagliato possa avere scritto e la loro reazione.
Soprattutto, in maniera sempre più esatta, non casuale, chiamano in causa a sproposito la mia professione, descrivendomi come indegno di fare il docente universitario. Un buon modo per colpirmi. Vengono tirati in causa i miei studenti, che andrebbero salvati da un docente rappresentato come indegno, infame, impresentabile (la lista degli epiteti è lunga come un dizionario di sinonimi). E i miei studenti, a onor del vero, intervengono. Gente laureatasi con me dieci anni e più fa e mai più vista, prende la parola per esprimermi stima e solidarietà. Ma il branco non molla la mia caviglia. Svariati, anche parlamentari, chiamano in causa il Ministro dell’Università, o taggano il mio Rettore perché prenda provvedimenti nei miei confronti. Magari finirò come l’insegnante di Palermo fatta sospendere lo scorso anno.
Chioso: la prima sensazione era quella di trovarsi in una sorta di rito tribale: decine di persone (dall’empireo dell’essere onorevole di qua, e ministro di là), facevano strame della mia vita e professione. Mi sono domandato: ma per questi che da ore picchiano sempre più duro, sono ancora identificabile come essere umano o no? Ho ancora i miei diritti civili o li ho persi? Il linciaggio è operato contro una persona in carne ed ossa, da distruggere nella propria dignità, e perfino nella mia professione, perché merita di essere fatto a pezzi per un crimine intollerabile commesso, o è un rituale per il quale viene operata una completa disumanizzazione spersonalizzante.
Forse anche senza gli anni di studio che ho dedicato alle violazioni dei diritti umani, avrei potuto concludere che no: nel momento nel quale decine di persone reduci dal pranzo domenicale rispondevano all’invito ad annientarmi, nessuno di loro si è posto il problema che anche io fossi un essere umano. Mi sono domandato se uno solo dei parlamentari di un partito così garantista si fosse fermato a riflettere dei delitti e delle pene e sulla proporzione tra quello che mi attribuivano, e la loro reazione nei miei confronti.
Poi ho capito che c’era qualcosa di molto più sistematico, adoperando nei miei confronti la stessa tecnica usata da Salvini negli ultimi anni. Un/a privato/a cittadino/a esprime una critica, più o meno dura, più o meno sgrammaticata, nei confronti del potere costituito. La Bestia risponde con l’esposizione al pubblico ludibrio del cittadino reprobo, che va annientato, distrutto, lapidato, delegittimato descrivendolo come indegno della professione che svolge, intimidendolo e facendolo sentire minacciato, mettendo in gioco le gerarchie sociali dalle quali dipende, il mio Rettore, il mio Ministro, colpire me per educarne cento. Io tutto questo lo chiamo abuso di potere.