Sabato in Venezuela saranno due mesi dall’autoinvestitura dell’antipapa ghibellino Juan Guaidó. Due mesi trascorsi con una parte rilevante dell’opinione pubblica internazionale che attende un rovesciamento violento di Nicolás Maduro. Ma la risposta, ora e sempre in America latina, è NUNCA MÁS, mai più golpe.
Due piccoli esempi di come il partito del golpe, della mancata riflessione su cosa sia un golpe in America latina, stia inquinando i pozzi interpretativi della crisi venezuelana:
1) Un’importante televisione europea mi ha proposto un’intervista, ma a condizione che non si parlasse di politica (sic), perché sa professore, la soluzione della crisi sarà militare e quindi da lei vorremmo un quadro degli equilibri interni dell’esercito bolivariano, figure di spicco, relazioni di potere, chi può essere l’uomo chiave. Perché sa professore, la soluzione è militare. Ho declinato l’invito.
2) La settimana scorsa ho partecipato alla storica trasmissione “Radio Anch’io” di Radio1 RAI. Uno degli interlocutori, un militante antichavista, a domanda su cosa fosse andato storto con Guaidó, ha risposto che “purtroppo l’esercito non lo ha seguito”. Il secondo, un redattore dell’autorevole “Limes”, ha detto papale papale che ciò non è accaduto perché “decine di migliaia di militari cubani” sarebbero (condizionale mio) infiltrati nell’esercito venezuelano.
Non è questione di difendere Maduro. Il golpe è una semplificazione, la spada che recide un nodo, sembra una soluzione, ma attesta superficialità e caduta di inibizioni. Molti in Europa si riempiono la bocca di diritti umani in favor di telecamera, per chiudere gli occhi dove i riflettori sono spenti. La Colombia? Haiti? L’Honduras? Malati di presentismo, ignorando la Storia, e non avendo l’umiltà di studiare la complessità, sperano in una soluzione in prime time, per poter dire “ecco, stanno bombardando” o per mostrare il cappio al collo di Saddam come lieto fine. Ignorare la Storia vuol dire condannarsi a ripeterla. Evocano un tabù per chi si considera democratico, che i militari tornino al potere in America latina, magari in nome della libertà e dei diritti umani. Se Maduro è un problema, allora va rimosso. La forma non importa, dicono i bulli, da Trump ai troll su Twitter. Invece importa.
Davvero pensate che i militari siano una soluzione e non un problema maggiore? Che possano agire in nome della libertà e dei diritti umani? Per centinaia di volte i militari sono intervenuti nella Storia latinoamericana, contro governi buoni o cattivi, ma mai hanno agito per senso democratico. Non esiste un golpe militare benevolo e “golpe democratico” è un ossimoro. I militari hanno sempre usato la forza a loro fine, nelle tenebre delle camere di tortura, il potere per il potere e la corruzione, conculcando ovunque i diritti umani. Il caso venezuelano non avrebbe alcun motivo per essere eccezione.
Oggi sappiamo che l’autoproclamazione di Guaidó non dovesse generare una dinamica politica (il dialogo auspicato da Vaticano, Messico e Uruguay o forti mobilitazioni di massa che inducessero alla caduta del governo), ma la sedizione militare, il golpe, il rovesciamento di Maduro e l’installazione di un regime civico-militare che avrebbe dovuto reprimere la resistenza chavista. Gente come Elliott Abrams, che gestisce la crisi per Trump, non è affatto interessata ad elezioni e troppi considererebbero ciò nell’ordine naturale delle cose.
Ma del resto, si dirà, ci sono “decine di migliaia di militari cubani infiltrati” da fermare. È innegabile l’influenza dei cubani sul chavismo e la presenza di agenti dell’Avana non sempre disinteressati, ma è indiscutibile la solidarietà per esempio dei medici cubani fin nelle zone più remote e difficili del paese. Si mormora da vent’anni in Venezuela dei barbudos armati; in sostanza una leggenda metropolitana identica al famoso “Plan Zeta” inventato di sana pianta (lo ammettono) dalla CIA e dai golpisti cileni come parte della guerra psicologica contro Salvador Allende. Il generale pinochetista Leigh ricordava ridendo come la grande stampa fosse ghiotta di rivelazioni come quella sui cubani, che lui stesso inventava e vedeva pubblicate senza verifica alcuna. Nel caso di Allende erano tutte balle, in quello di Maduro chi vivrà vedrà.
Sul pensare che un colpo di stato fosse una soluzione vi sono precedenti illustri. Una delle maggiori onte della storia del Partito Comunista Italiano fu approvare il colpo di stato in Argentina del 24 marzo 1976. “Sono militari progressisti che porranno fine al caos e alle violenze di Isabelita” fu la linea di Botteghe oscure. E così venne Videla, che di progressista non aveva nulla, con i 30.000 desaparecidos, tra i quali non pochi comunisti. Rammentare che anche il peggior governo civile abbia più rispetto dei diritti umani della più pulcra dittatura militare è dovere dello storico. Compito della pubblicistica è non cadere nel presentismo, nella semplificazione più brutale e porsi il problema: state desiderando un Pinochet venezuelano?
Totalmente alieni da queste considerazioni, in questi due mesi, i media si sono affannati nella conta dei militari venezuelani passati con Guaidó, forma di conto alla rovescia del crollo del regime. Grosso modo ne ha disertato uno al giorno, ufficiali e sottufficiali del tutto anonimi, che hanno ottenuto i loro quindici secondi di celebrità di fronte alle televisioni mondiali. Un numero insignificante e per nulla qualificato, rispetto a un esercito di oltre 200.000 uomini con uno stato maggiore pletorico. Se c’è un Pinochet venezuelano, e non mi sento di escluderlo, non si è manifestato. Il clou si è raggiunto a fine febbraio, con la triste storia di un paio di centinaia di soldatini di bassa forza, scappati in Colombia in occasione dello show umanitario passato alla storia per l’incendio degli aiuti – attestato dal New York Times – da parte degli stessi che dovevano distribuirli a nome di Guaidó e USAID.
A metà marzo ACNUR, l’agenzia ONU per i rifugiati, avrebbe dato loro pochi giorni per lasciare gli alberghi di Cúcuta dove erano stati alloggiati. Avrebbe consegnato loro un sacco a pelo, pochi soldi, e una cartina della zona. Arrangiatevi. Loro – celebrati come eroi solo pochi giorni prima dalla stampa mondiale – hanno provato a protestare, stavolta nel disinteresse dei più. Sostengono che Guaidó si neghi al telefono e che, dei 20.000 dollari a testa che avrebbe promesso loro il senatore statunitense Marco Rubio, non vi sia traccia. Colpa di Maduro?
Insomma la superficialità, l’incoscienza con la quale troppi osservatori democratici accetterebbero la soluzione militare alla crisi venezuelana induce un’amara conclusione. Il golpismo è stato il cancro della storia latinoamericana, il luogo dove tutte le fragilità, politiche, sociali, economiche e tutte le ingiustizie della regione si catalizzavano per creare relazioni sociali ancora più ingiuste. Il golpismo è l’orrore da rimuovere dalla storia in un enorme “nunca más”, “mai più” divenuto patrimonio comune della società civile del Continente. Qualche decennio di democrazie formali, imperfette, difettose, caotiche, mal funzionanti, sembrano però aver indotto all’oblio alcuni, soprattutto in Europa, su chi resti il nemico prevalente.
Dagli anni Ottanta in qua c’è stato un percorso condiviso per modificare la cultura anti-democratica e anti-popolare delle forze armate. L’America latina ha riflettuto sul militarismo e su come riportarlo in un alveo costituzionale dal quale non deve mai discostarsi. Gli odierni Stati maggiori latinoamericani non hanno ricevuto la formazione anti-democratica e anti-popolare quale quella che ricevette la generazione addestrata alla contro-insorgenza nella Scuola delle Americhe, delle dittature civico-militari, e del Piano Condor durante la guerra fredda. Gli eserciti latinoamericani, compreso quello venezuelano, che oltretutto ha ricevuto un indottrinamento chavista, oggi sono formati al rispetto del loro ruolo e dei diritti umani e sanno che il loro posto sia nelle caserme.
Nessuno può giurare – al contrario! – che sia sufficiente ciò a scongiurare il golpismo in Venezuela o altrove nel Continente, ma tale elemento di analisi, la potenza del fatto che ci si sia lavorato com mai nella storia, è del tutto assente per chi scruta gli organigrammi per individuare il nuovo uomo forte. Ma magari no, magari è ingenuo pensarlo, magari invece qualcosa in questi decenni è successo e una nuova mentalità si è fatta strada e i militari venezuelani sono rimasti nelle caserme perché rispettosi della Costituzione che NON assegna loro il potere di dirimere controversie politiche. Sia come sia, una cosa è certa. Chiunque abbia sentimenti democratici, nell’accezione più ampia, non può giocare col fuoco evocando l’ira del Leviatano. Qualunque cosa succeda, qua-lun-que co-sa suc-ce-da, il posto dei militari resta nelle caserme.