Rispettando tutte le previsioni Evo Morales si è riconfermato presidente in Bolivia con una maggioranza schiacciante che dovrebbe superare il 60% dei voti e i due terzi dei seggi in Parlamento, più che doppiando il principale avversario neoliberale Doria Medina. Governa dal 2006 e continuerà a lungo. Come mai succede ciò rispetto a quell’improbabile personaggio senza studi superiori (ma con al suo fianco come vice Álvaro García Linera, forse il più importante intellettuale latinoamericano contemporaneo), a lungo sbeffeggiato dalla stampa internazionale e che in Italia fu addirittura insultato come “narco-indio fuori di testa”? Ancora in queste ore “Il Fatto quotidiano” definisce Evo Morales “chavista”, come se fosse uno stigma e come se ciò spiegasse qualcosa. Ricordo ancora le perplessità di molti rispetto a quel linguaggio non particolarmente forbito di Evo in un ateneo romano e al non farsi incasellare in schemi della sinistra tradizionale. Forse era più facile capire la Bolivia come stato coloniale, razzista, di proprietà di pochi ma era meno facile capire il progetto di Stato plurinazionale in grado di pensare il benessere di tutti i boliviani: benessere materiale e spirituale. Come mai allora mette d’accordo tutti quel ragazzo dall’infanzia povera, quell’uomo timido che aveva attraversato mille volte l’enorme paese andino nel suo incessante lavoro sindacale in difesa dei lavoratori più svantaggiati, quelli della coltura tradizionale di coca, coltivo che ha difeso fino alle nazioni unite? Quell’uomo umile che, anche da presidente, è stato più volte capace di dire pubblicamente “ho sbagliato” (prezzo del gas, Tipnis…) e tornare indietro su decisioni già prese senza che questo sia interpretato come debolezza?
Succede perché il governo Morales è il migliore, più stabile e più rappresentativo di due secoli di tumultuosa e instabile storia boliviana. Succede perché sta smantellando le basi dello stato coloniale, dipendente e razzista che nessun suo predecessore aveva mai davvero messo in discussione. Succede perché per la prima volta nella storia il bla bla della retorica nazionalista è stato sostituito dai fatti di una nuova forma di religione civile. Succede perché la gran parte dei boliviani sta meglio di quanto non fosse mai stata prima. Succede perché lo Stato è un attore protagonista dello sviluppo del paese e non più un fattore di corruttela e instabilità.
La decisione chiave, ebbi la fortuna che me lo spiegasse personalmente Evo nel 2007 a Cochabamba, fu senza alcun dubbio la nazionalizzazione degli idrocarburi. Quello che a Salvador Allende col rame costò la vita nel XXI secolo è potuto succedere nonostante lunghi anni di destabilizzazione e la costante demonizzazione dei media nazionali e internazionali. È con la nazionalizzazione degli idrocarburi, una bestemmia per la teocrazia mercatista che governa il mondo, che uno stato semi-fallito come quello boliviano è diventato attivo e si è trasformato in motore di sviluppo e di benessere per i propri cittadini. Con Evo il PIL della Bolivia è triplicato come è triplicato il reddito medio dei boliviani mettendo in piedi un circolo virtuoso che fa sì che l’esclusione si riduca a vista in un paese dove il salario minimo è passato da 65 a 210$. Con Evo le riserve internazionali della Bolivia sono su percentuali maggiori di quelle della stessa Cina. Con Evo la povertà estrema di un paese pauperrimo si è ridotta dal 38 al 15% e chissà mai che davvero non si riesca a sradicarla completamente, liberando la donne e l’uomo dal bisogno. Con Evo l’Unesco ha proclamato nel 2008 la Bolivia paese libero dall’analfabetismo e ha permesso ai medici cubani di effettuare 650.000 operazioni gratuite agli occhi, prima impedite dal modello di salute neoliberale che condannava masse di indigenti alla cecità.
Ma tutto ciò si accompagna ad altro d’immateriale, una rivoluzione del buon vivere e della dignità, una rivoluzione che ha fatto tutti i boliviani cittadini. Occhi europei storcono il naso rispetto all’estetica della cosiddetta nuova “borghesia aymara”, o considerano kitsch l’architettura di Freddy Mamani che sta ridisegnando gusti e tendenze del nuovo benessere, arrivano perfino a guardare con sospetto quella nuova commistione tra El Alto (la periferia disagiata) e La Paz, data dal teleferico, come se quell’unione tra due mondi che nella separatezza sembravano dividere bene e male corrompesse, come se il benessere corrompesse e la Bolivia dovesse in eterno continuare ad incarnare un rassicurante disagio archetipico. Non è così, il mondo cambia anche in meglio e con Evo, in pace e democrazia.