Il colpo di Stato in Cile dell’11 settembre 1973 fu un evento fondativo del mondo contemporaneo. Come studioso di storia del Cile, di Salvador Allende e nello specifico di quel golpe, sento il bisogno di una serie di puntualizzazioni su errori ed omissioni su quei fatti che in buona o cattiva fede si perpetuano da decenni. Anche quest’anno continueremo a sentir dire che Allende non si è suicidato o che il Cile era sull’orlo del caos, che non è provato il ruolo della CIA, o veder moltiplicati il numero dei morti per mille come se quelli reali non bastassero a rappresentare l’orrore.
1) Salvador Allende indiscutibilmente si suicidò. I testimoni diretti, persone al di sopra di ogni sospetto, tra i quali il dottor Arturo Jirón e il GAP Pablo Zepeda, non lo mettono mai in dubbio. La leggenda dell’assassinio fu inventata e diffusa innanzitutto da Radio Mosca per motivi di propaganda. Buona parte dei motivi del successo di tale versione furono dovuti: a) a motivi culturali rispetto alla valenza del suicidio interpretabile come atto di vigliaccheria; b) al fatto che l’assassinio appariva come perfetta allegoria dell’infamia del golpe e della morte della democrazia; c) al dato che i testimoni diretti di parte democratica (che hanno sempre parlato del suicidio) furono uccisi o messi a lungo a tacere dalla dittatura. d) L’intero campo democratico, a partire da un famoso articolo molto romanzato di Gabriel García Márquez, preferì a lungo non credere al suicidio, forse uno dei pochi dettagli sul quale i golpisti non mentirono. Si veda in particolare un mio saggio su «Passato e Presente».
2) Il golpe (preceduto da un primo tentativo il 29 giugno) fu reso possibile da uno stratagemma. Il governo Allende si stava rafforzando nel paese, aveva vinto bene le amministrative di febbraio, stava realizzando il proprio programma e i dati macroeconomici erano in forte miglioramento. Tuttavia, di fronte alla polarizzazione della politica cilena e alle manovre di destabilizzazione, il Presidente aveva deciso di annunciare un referendum sul suo governo, rendendosi disponibile a rinunciare a metà mandato in caso di risultato avverso. Al di là del possibile risultato il semplice annuncio del referendum avrebbe delegittimato il golpe rendendolo impossibile. L’annuncio, in una trasmissione a reti unificate, doveva essere dato il 10 settembre 1973. Solo dopo le enormi insistenze di Augusto Pinochet, da pochissimo nuovo Capo di Stato Maggiore, Allende aveva accettato di rinviare al 12 settembre, ventiquattro ore dopo la data già prevista per il Colpo di Stato.
3) Il golpe non fu la conseguenza del caos (come in Argentina) o della sconfitta della guerriglia (come in Uruguay). Avvenne in un paese polarizzato ma ordinato, governato nel rispetto della Costituzione e sostanzialmente in pace. A partire dal 1961 (presidente John F. Kennedy) la Casa Bianca aveva iniziato a lavorare per impedire che Allende arrivasse alla presidenza. La cosa era riuscita nel 1964, fallì nel 1970. Da quel momento, il governo degli Stati Uniti lavorò per sovvertire le istituzioni democratiche in Cile. La ricerca di interlocutori golpisti nell’esercito e nell’aristocrazia cilena da parte del governo e dei servizi degli Stati Uniti, la «guerra psicologica», il soffiare sul fuoco del golpe, istigarlo e poi difenderlo con ogni mezzo, è altrettanto indiscutibile e attestato in innumerevoli documenti cominciati a pubblicare a Washington fin dal 1975. Continuare a instillare il dubbio è insensato o in malafede. Al contrario:
4) Non è mai esistito un golpe da parte di Unidad Popular e Salvador Allende, quest’ultimo scrupoloso e irriducibile nel rispetto delle istituzioni fino al sacrificio finale. Tutta la propaganda sulla presenza di 35.000 (sic) addestratori e consiglieri militari cubani, un arsenale di 45.000 pistole, 12.000 kalashnikov e 500 bazooka e il fantomatico Plan Zeta (il golpe di Allende) erano pure invenzioni costruite a tavolino per destabilizzare prima e giustificare poi il golpe contro un governo di matrice marxista che, pur andando avanti in mille campi, mai smantellò le istituzioni liberaldemocratiche o violò la costituzione vigente. A partire dal 1984 il generale pinochetista Gustavo Leigh si vantava pubblicamente di quanto fosse stato facile inventare tutto di sana pianta trovando media compiacenti in patria e fuori. La memoria è breve: identiche fandonie, migliaia di cubani armati fino ai denti e l’autogolpe in arrivo, furono usate in altre occasioni, come in Venezuela per giustificare il fallito golpe contro Hugo Chávez l’11 aprile 2002.
5) Non era stata preparata una resistenza armata al golpe (Allende voleva innanzitutto evitare una guerra civile avendo in mente quella di Spagna). Lo testimonia il fatto che esistessero solo piccoli apparati militari di tutti i partiti di UP, Partito Socialista, Partito Comunista, Sinistra Cristiana oltre al MIR (Movimento Sinistra Rivoluzionaria), che fino a quel momento aveva realizzato piccole azioni di propaganda armata. Ognuno di questi apparati possedeva non più di 100-150 kalashnikov e aveva inviato poche decine di militanti in paesi socialisti (soprattutto la Cecoslovacchia e Cuba) per ottenere addestramento militare. L’11 settembre i partiti mancarono completamente agli obiettivi limitati ai quali quegli uomini erano destinati: difesa della Moneda e scorta dei dirigenti verso rifugi sicuri. Lasciarono così Allende ed un pugno di uomini nella Moneda senza alcun appoggio esterno, mentre la popolazione (ancora il 4 settembre milioni di militanti avevano riempito le piazze in appoggio al governo) fu invitata a restare a casa. La mancata difesa della Moneda è uno dei segreti sui quali più alta si alza la cortina di fumo dei partiti eredi di UP, in particolare del Partito Socialista.
6) L’esistenza di un esercito liberatore al comando del Generale costituzionalista Carlos Prats (assassinato nel 1974 dalla CIA e dalla DINA) nei giorni successivi al golpe è un’invenzione di Radio Mosca, costata molte vite di militanti di Unidad Popular, indotti a credere che fosse in atto una resistenza organizzata al golpe che invece fu immediatamente soffocata anche dai responsabili degli apparati militari rivelatisi non all’altezza della situazione. Tale dettaglio, di provenienza comunista, è figlio di una politica (soprattutto socialista) che molto millantò ma non preparò affatto la resistenza al golpe imminente contribuendo a spaventare le classi medie e della quale Allende molto si lamentò.
7) Salvador Allende non entrò però suicida nella Moneda. Entrò deciso a difendersi e credendo nella lealtà di Augusto Pinochet. Erano state organizzate anche delle vie di fuga dal Palazzo, in parte ostruite e impraticabili, che probabilmente dovevano nascondere Allende nel quartiere popolare de La Legua. La sortita non fu possibile, anche per il mancato appoggio dei partiti dall’esterno (tema che non tratto qui) e, di fronte al prevalere dei golpisti, prevalse nel presidente l’idea del suicidio come “atto di coerenza politica”.
8) Nelle oltre sei ore di resistenza, Allende partecipò attivamente alla battaglia, sparando contro il nemico con l’AK47 regalatogli da Fidel Castro e col quale si toglierà la vita. Tali dettagli, confermati dai sopravvissuti, sono spesso negati dai partiti, in particolare quello socialista, che ha preferito edulcorare meticolosamente la figura di Allende in molti punti, rappresentandolo come una sorta di agnello sacrificale, buono come padre nobile per la stagione della Concertazione solo se spogliato della propria radicalità di marxista che credeva fermamente si potesse arrivare al socialismo in pace e democrazia. In particolare viene oscurata l’amicizia con Cuba e con Fidel Castro, e la relazione con la guerriglia marxista argentina dell’ERP. Le foto di Allende che spara dal secondo piano della Moneda sono di fatto introvabili.
9) Nella Moneda si trovavano poche decine di collaboratori stretti di Allende, dei quali meno di una ventina erano combattenti dei GAP (Gruppo Amici del Presidente), in grado di tenere in scacco l’esercito meglio addestrato del Continente per molte ore. Nella “battaglia della Moneda”, nonostante la pesantezza del fuoco nemico, gli unici due morti di parte democratica furono due suicidi, Augusto Olivares e Salvador Allende. Dopo la resa e il suicidio del presidente, tutti i GAP (foto), salvo per motivi casuali tre di loro, furono legati con filo spinato, torturati e assassinati nelle ore successive. Erano tutti o quasi di estrazione popolare. Agli altri sopravvissuti andò meglio. Erano ministri, consiglieri, stretti collaboratori, persone di grande valore e militanti allendisti integerrimi, ma in genere di estrazione borghese. La dittatura ritenne di risparmiare loro la vita.
10) Augusto Pinochet ha sulla coscienza l’assassinio e spesso la sparizione di circa 3.500 persone, due terzi delle quali nei primi mesi dopo il golpe, oltre al contesto complessivo delle violazione dei diritti umani di centinaia di migliaia di cileni e di quelli civili e sociali di tutto il paese. Di quasi tutte, ormai, al contrario di quanto accadde in Argentina si sa qualcosa del destino o comunque ci sono fonti anche militari (si pensi alla lista del Mamo Contreras nel 2005 sulla sorte di 580 desaparecidos) che ne attestano la morte. Ricordo telegraficamente che, per un familiare, che un proprio caro passi da una lista di desaparecidos (indeterminatezza) a quella di morti sia un passo avanti che può permettere di elaborare il lutto. Pinochet stuprò un intero paese in molti modi, e resta un simbolo delle violazioni di diritti umani nello scacchiere occidentale della guerra fredda, ma non c’è alcun bisogno di arrotondare a 10.000, 30.000, un milione. In un paese dove non era in corso alcuna guerra, l’assassinio di 3.500 persone inermi resta una barbarie inemendabile.
US Senate, Cover action in Chile 1963-1973, US Government, Washington, 1975;
Comisión Chilena de Derechos Humanos, Nunca más en Chile?: síntesis corregida y actualizada del informe Rettig, Santiago, LOM, 1999;
G. García Márquez, A ruota libera 1974-1995, Mondadori, Milano 2003, pp. 15-17 (ed. or. Chile, el golpe y los gringos, «Alternativa», n. 1, Bogotà 1974);
G. Carotenuto, Alla Moneda con Salvador Allende (At Moneda with Salvador Allende), «Passato e Presente», 88 (2013), pp. 131-152;
G. Carotenuto, 11 settembre 30 anni dopo. Per uno studio comparato delle reazioni delle masse latinoamericane al golpismo contro governi popolari: dal caso di Perón, ad Allende a Chávez, «Zapruder», 1 (2003), n. 2, pp. 143-47.