Rispetto all’articolo di Francesco Giavazzi che ho commentato qui, è necessario insistere su di un punto: cosa vuol dire “concorrenza” in servizi pubblici fondamentali come la scuola pubblica?
Far competere due negozi di scarpe in genere è un’eccellente idea ma, a meno di non essere Ronald Reagan, è evidente anche ad un cieco che una scuola elementare sia cosa differente rispetto a un negozio di scarpe. Nonostante ciò vi è chi sostiene che tra un negozio di scarpe ed un pronto soccorso pediatrico non ci sia differenza e che la concorrenza sia sempre la risposta a tutto e che questa sempre porti ad un circolo virtuoso.
In questo caso alcune o molte scuole (lasciamo da parte la salute, ma il ragionamento è analogo) funzioneranno meglio, si contenderanno come al calciomercato gli insegnanti migliori, otterranno per questi degli incentivi e saranno capaci di produrre degli studenti più bravi. Ma le scuole che funzioneranno meglio non saranno delle scuole baciate dalla sorte di avere un preside-manager abilissimo che ricompenseremo con uno stipendio da nababbo. Sembra una banalità dirlo, ma i liberisti fanno finta di non sapere che le scuole baciate dalla sorte e iperfinanziate saranno sempre e solo quelle situate nei quartieri migliori delle città più ricche mentre le scuole penalizzate saranno sempre e solo quelle dei luoghi più svantaggiati. Qualunque persona intellettualmente onesta capirebbe che in questo modo lo Stato promoverebbe disuguaglianza di opportunità tra i cittadini.
Alcune scuole infatti soccomberebbero, è nella logica del mercato, sarebbero malfamate e produrrebbero ignoranti. Ma per un diritto come l’educazione, non è possibile teorizzare (perchè altrimenti a essere superata sarebbe la stessa democrazia) di offrire servizi buoni qui e pessimi là punendo collettivamente i cittadini per il fatto di abitare nel tal posto o nella tal regione. Ciò continuerebbe ad essere un principio inviolabile (perché sta alla base della convivenza democratica) anche se la Lega Nord raddoppiasse o quadruplicasse i propri voti e anche se Francesco Giavazzi scrivesse altri 12 tomi per convincerci che il liberismo è di sinistra. Non è così e lo Stato, semplicemente, ha il dovere costituzionale di garantire a tutti parità di accesso, senza caricare per esempio una madre lavoratrice e sola perfino della responsabilità di scegliere la scuola migliore per il figlio.
Nel film teorizzato dai liberisti, si immagina invece un mondo dove il bambino di un quartiere degradato prenda l’autobus, attraversi la città e vada a studiare in un quartiere bene, perchè nella sua infinita saggezza Giavazzi ha scelto di dare a quel bambino povero la possibilità di scegliere dove studiare, ovviamente per ritornare alla sera nel suo quartiere degradato. Ma cosa succederebbe se tutti i bambini scegliessero di andare a studiare nella scuola migliore? Siccome il liberismo è di sinistra, Giavazzi garantisce a tutti davvero la libertà di scegliere a spese dello Stato, allora colonne di autobus si arrampicheranno dalla suburra verso quella bella scuola in collina, piena di verde e di attrezzature e con quei professori preparatissimi e aggiornatissimi e sempre sorridenti.
In teoria la concorrenza per Giavazzi potrebbe anche instaurare il giro inverso, ma è francamente improbabile immaginare che colonne di SUV portino in periferia i bambini ricchi in quella scuola senza palestra né laboratori, circondata dagli spacciatori e con professori buzzurri e frustrati. Eppure è questa favola che Giavazzi cerca di venderci.
Cosa vuol dire infatti poter scegliere una scuola migliore per i propri figli? Nella società capitalista chi può sceglie tutto, il lavoro, la scuola, l’automobile. Gli altri si accontentano, non scelgono di avere una Panda di seconda mano piuttosto che una Mercedes fiammante. Ma l’educazione resta un diritto universale, sia che io viva in un quartiere bene di Bergamo o di Napoli o in una periferia degradata. Lo Stato, semplicemente, non può e non deve neanche teorizzare che a Posillipo i professori di matematica possano essere migliori di quelli di Secondigliano. Soprattutto non può neanche teorizzare di scremare i migliori docenti e mandarli tutti a Posillipo e spostare tutti i peggiori alla Cayenna (presunta) di Secondigliano. E questo perché (è un concetto così facile che solo i professori della Bocconi non capiscono) lo Stato di mestiere garantisce diritti per loro stessa natura uguali per tutti.
E’ pertanto in malafede millantare che i cittadini debbano poter scegliere la scuola migliore e scartare quella peggiore. E’ in malafede millantare che la concorrenza possa risolvere le carenze della scuola quando invece si vuole istituzionalizzare un’educazione a due velocità, buona per pochi, scadente per molti, e oltretutto con soldi pubblici.
E’ lo Stato a dover garantire a tutti una scuola adeguata selezionando il personale adeguato e fornendo le strutture adeguate a TUTTE le scuole del Regno. E’ questa la parità scolastica, altro che i buoni scuola per finanziare le private.
E questa è la chiave. Se il lavoro è un diritto, non è un diritto fare l’insegnante (o il docente universitario, ovviamente). E non basta, perchè questo è quello che surrettiziamente vuole Giavazzi, scaricare gli insegnanti peggiori sulle scuole frequentate dalle classi subalterne senza neanche affrontare un conflitto sindacale.
Gli insegnanti inadeguati devono essere licenziati, anche se titolari di cattedra, prepensionati o messi in condizione di non nuocere. Un autista di pullman cieco non può più guidare. Perchè allora un insegnante analfabeta di ritorno deve restare in cattedra? Un pessimo insegnante, zotico, impreparato e seduto da una vita non può essere stimolato neanche con un premio produzione di 10.000 Euro al mese (i neoliberali risolvono tutto con i soldi), deve essere allontanato e sostituito da docenti migliori. Checchè ne dicano i sindacati. Sono indispensabili meccanismi selettivi -in democrazia si chiamano concorsi pubblici- che inseriscano presto e bene i giovani brillanti e meccanismi di verifica che sbattano fuori, anche a 50 anni, il personale inadeguato. Perchè neanche nella suburra vogliamo, né possiamo permetterci, gli scarti di Giavazzi.