Saranno l’ex-presidente Michelle Bachelet (centro-sinistra) e l’ex ministro dell’Economia Pablo Longueira (destra) i due principali candidati a sfidarsi nelle elezioni presidenziali cilene previste per il prossimo 17 novembre in piena primavera australe. Troveranno nuovamente il progressista Marco Enríquez-Ominami, che nel 2009 aveva superato il 20% dei voti ma che questa volta potrebbe essere spiazzato dallo slittamento a sinistra della coalizione che governò il paese dalla fine della dittatura e che per la prima volta incorpora il Partito Comunista.
Michelle Bachelet ha ottenuto il 73% nelle primarie della coalizione di centro-sinistra (che adesso coinvolge buona parte del partito comunista) e si chiama Nueva Mayoría (Nuova Maggioranza), confermando con i numeri una vittoria data da mesi per scontata. Il suo rivale più accreditato, l’ex-ministro delle finanze della stessa Bachelet, Andrés Velasco, si è fermato al 13% dei voti. Il candidato democristiano Orrego non è andato nemmeno in doppia cifra, scoprendo forse il fianco destro dell’alleanza, e al candidato radicale sono restate le briciole.
Bachelet sfiderà Pablo Longueira, dell’UDI, il partito di destra fascistoide fondato durante la dittatura con il benestare di Augusto Pinochet, ministro dell’Economia di Sebastían Piñera e pinochetista mai pentito. Nel pedigree di Longueira (che andava d’accordo su tutto col suo rivale Allamand) oltre al neoliberismo più ortodosso c’è la xenofobia verso l’immigrazione, soprattutto boliviana, la contrarietà alle unioni omosessuali, all’aborto, al ruolo dello Stato e alla scuola pubblica. La competizione tra due candidati identici ha visto risultati quasi identici: Longueira ha ottenuto il 51,3% dei voti (414.000 contro 392.000 di Allamand).
Era la prima volta che il sistema elettorale cileno prevedeva ufficialmente elezioni primarie. Sembrano essere piaciute all’elettorato che si è recato alle urne in circa tre milioni su 13 aventi diritto. Se ne prevedeva un milione circa (tra 700.000 e 1.6 milioni). Di questi tre milioni oltre la metà ha votato per Michelle Bachelet e 2,2 milioni sono stati gli elettori di centro-sinistra contro 800.000 di destra. Per permettere lo svolgimento del voto il governo Piñera ha sgomberato con la forza decine di scuole occupate dagli studenti che da oltre due anni stanno lottando per l’educazione pubblica. Almeno 100 di loro sono ancora trattenuti dai carabinieri o in stato d’arresto.
Il trionfo di Michelle Bachelet (ma novembre è lontano) è anche il fallimento della strategia di contenimento e delegittimazione della candidata che potrebbe essere la prima a tornare alla presidenza dal ritorno della democrazia. In particolare è fallita la strategia di incolpare la ex-presidente per i ritardi nei soccorsi del terremoto del 27 febbraio 2010. Proprio nei luoghi dell’epicentro, Bachelet ha superato l’80% dei voti. Ancora più importante: è fallita la strategia di isolare Michelle Bachelet rispetto alla proposta di un’assemblea costituente che è il punto principale intorno al quale questa è riuscita ad estendere la vecchia e imbolsita “Concertación” (l’alleanza tra socialisti e democristiani che aveva governato dall’89 al 2010) al Partito Comunista. Sarebbe, sarà un’enorme sfida, perché l’uscita dalla camicia di forza della costituzione pinochetista sarebbe la vera fine del regime instaurato 40 anni orsono.