Incontrai Giulio Andreotti nel 1996 o nel 1997. Era già senatore a vita e c’era già una certa distanza rispetto al periodo di massimo potere politico. Rispetto al Belzebù che poteva per me incarnare tutti i mali della prima Repubblica, era già privo delle parafernalia del potere. Disinnescato, in qualche modo, nel mio immaginario che già vedeva nel satrapo lombardo la dissoluzione dei valori repubblicani. Fu gentile, cortese, disponibile, inappuntabile. Mi accolse sulla porta, mi diede la mano, mi fece accomodare. Ricordo uno studio più piccolo di quello che mi aspettassi, pieno di mobili di legno scuro, ma è un ricordo sbiadito. L’incontro, per lui totalmente di routine, fu breve e completamente incentrato sull’oggetto per il quale mi era stato concesso: il suo viaggio a Madrid, ufficialmente per quella che sarebbe stata l’ultima partita in azzurro del Grande Torino, perito a Superga poco più di un mese dopo. In realtà era il primo di un dirigente politico dell’Europa Occidentale nella Spagna franchista sopravvissuta alla caduta del fascismo e del nazismo. Andreotti, tra le polemiche, doveva cominciare a regolarizzare le relazioni tra la «virginale Repubblica» italiana, la Spagna franchista dove contavano meno i falangisti e prendevano già piede i tecnocrati dell’Opus Dei. Andreotti ricordava perfettamente ogni dettaglio, fu preciso e, apparentemente, non reticente.
A pochi mesi dall’anno santo 1950 le parole d’ordine erano la «latinità» e l’«anticomunismo» che prendevano il posto della «democrazia». Avevo chiesto di incontrarlo perché negli archivi sia romani che madrileni che londinesi qualcosa non tornava e molti documenti mancavano. Gli inglesi si erano interessati di quel viaggio, che ufficialmente era giustificato da Alcide De Gasperi per motivi calcistici, senza riuscire a sapere chi Andreotti avesse incontrato. E Andreotti mi rivela che oltre a Carrero Blanco, con il quale assiste alla partita, aveva incontrato in grande riservatezza il ministro degli esteri Martín Artajo e il nunzio apostolico Cicognani. Dalle parole di Andreotti potei capire il vuoto nella cartella del Public Record Office di Londra. Artajo mostrò ad Andreotti come gli inglesi, che a parole inducevano gli italiani a continuare ad isolare la Spagna, stavano invece profittando per migliorare le loro posizioni commerciali. Fu la svolta. Da allora in avanti si andrà spediti verso la normalizzazione delle relazioni. Mi alzai, tornai a stringergli la mano, non una stretta virile ma neanche melliflua. Uscii convinto che mi avesse detto tutto. Per quello era Andreotti.
Di seguito il paragrafo -inedito- sul viaggio di Andreotti della mia tesi dottorale, discussa a Valencia nel 1997. A questo link il cinegiornale sulla partita.
Spagna-Italia 1-3
L’anno 1949 può considerarsi quello dell’imbocco della dirittura d’arrivo della pacifica convivenza, all’interno del blocco delle democrazie occidentale, della dittatura spagnola. In Gran Bretagna Bevin, ammalato, lascia il numero 10 di Downing Street ancora prima delle elezioni. La nascente Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, della quale la Spagna non fa parte, la considera comunque parte organica del sistema difensivo occidentale. Il 13 luglio Pio XII scomunica i comunisti, confermando la giustezza della linea scelta a suo tempo da Franco di contrapposizione frontale al nemico che viene dalle steppe.
Dal punto di vista delle relazioni economiche italo-spagnole si assiste con la massima, ma forse giusta pompa, all’inaugurazione del primo stabilimento della SEAT in Catalogna[1]. Si avvia così anche in Spagna, con la produzione di un’utilitaria quale la 600 e sia pure in tempi più lunghi che in Italia, l’era dai forti contenuti modernizzanti per l’immaginario collettivo della motorizzazione di tutta la società. Un’inaugurazione che, se da un lato contribuisce a rendere per decenni molto simile il panorama automobilistico dei due paesi, dall’altro rafforza la presenza di alcuni dei più grandi gruppi italiani in Spagna, Olivetti, Pirelli, Snia-Viscosa, Montecatini, BNL, Piaggio, Eni, Finmeccanica, oltre alla stessa Fiat, come la maggior parte delle imprese sunnominate già attiva dall’anteguerra[2], sono presenti nel paese iberico dove si giunge all’ennesimo nuovo trattato commerciale. In novembre la firma di quest’ultimo, oramai il reinserimento del mercato spagnolo è cosa fatta, serve a far da sponda alle aspirazioni franchiste e di Martín Artajo in particolare di poter sedere alla stessa tavola, l’attività vaticana in tal senso è massima, senza vergogna con i rappresentanti degli altri paesi che a quel punto non si qualificano più per la democrazia ma per l’anticomunismo di una guerra fredda oramai precipitata.
Il 1949 è però soprattutto anno di attività a tutto campo per la diplomazia vaticana in vista dell’Anno Santo 1950. Tra le priorità vaticane dell’epoca vi è quella di giungere all’internazionalizzazione di Gerusalemme in aperta contrapposizione con le Nazioni Unite, con Israele e con gli Stati Uniti. La questione viene utilizzata per promuovere ulteriori avvicinamenti tra i paesi cattolici, Spagna ed Italia in primo luogo. In aprile[3], proprio su stimolo vaticano, si propone un incontro tra Sangróniz ed il direttore generale per gli Affari Politici della Farnesina, Zoppi, che poi sarà a Londra, per studiare una posizione comune sulla questione. Il mese successivo la questione viene portata a più alto livello. Il falangista Ibáñez Martín, ministro dell’Educazione è a Roma dove vede con grande successo, a sentire Suárez[4], sia Alcide De Gasperi che il suo omologo Gonella.
Immediatamente prima della visita a Roma del Ministro dell’Educazione di Franco, vi è un altro viaggio che intriga l’attenzione nostra e del Foreign Office[5] che ne chiede informazioni, le risposte sono andate distrutte in circostanze anomale rispetto alle normali procedure[6], alle sue sedi diplomatiche a Madrid e Roma. E’ un viaggio dell’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giulio Andreotti che, utilizzando l’occasione della partita di calcio Spagna-Italia[7], viene inviato da De Gasperi ad esaminare sul posto la situazione. Chi vede Andreotti, si domandano curiosi gli inglesi, durante cinque giorni di permanenza a Madrid? Andreotti, ch’è tifoso, afferma De Gasperi alla Camera in risposta ad una interrogazione parlamentare dove nega ogni valenza politica per il viaggio del suo più immediato collaboratore, giunge a Madrid con il volo Roma-Barcellona-Madrid di venerdì 25 marzo.
La partita è un grande evento sportivo che batte tutti i record di incasso e di affluenza allo stadio di Chamartín. Vince l’Italia capitanata da Valentino Mazzola per 3 ad 1 ed è una delle ultime apparizioni in maglia azzurra del «grande Torino» che di lì a poco perisce nel disastro aereo di Superga. L’Italia è ancora campione del mondo in carica, sono passati undici anni però dai mondiali francesi del 1938 e la stampa spagnola riconosce nei grandi spazi dedicati all’evento la superiorità della squadra italiana[8]. Segnano Lorenzi, Carapellese ed Amadei e per la Spagna Gaínza su rigore. Scendono in campo, per l’Italia: Bacigalupo, Ballarin, Rigamonti, Becattini, Annovazzi, Castigliano, Menti, Lorenzi, Amadei, Mazzola e Carapellese; per la Spagna: Eizaguirre, Riera, Aparicio, Lozano, Gonzalvo III, Puchades, Epi, Silva, Zarra, Hernández (César) e Gaínza.
All’incontro il politico italiano assiste e dichiara all’ABC[9] con non pregnante incisività: ha ganado el mejor conjunto, y reconozco la valía del equipo adversario, entre cuyos adversarios hay algunos realmente extraordinarios[10]. Forse è più interessato, noi con lui, alla discussione con il suo omologo Carrero Blanco accanto al quale assiste all’incontro. Nella biografia di questi, Javier Tusell scrive che nessuno si sbaglia di più su Carrero quanto Andreotti che lo descrive come un falangista radicale[11].
Il politico democristiano ci ricorda la forte spinta a non normalizzare le relazioni italo-spagnole che viene, è interessante per noi, non solo dagli ambienti antifascisti italiani, ma anche dalle garbate pressioni degli Alleati. L’incontro più importante del quale si riferisce è però, si ricollega con quanto appena affermato, quello con Alberto Martín Artajo. Il Ministro degli Esteri fornisce l’elenco di delegazioni economico-commerciali in visita allora in Spagna, di provenienza proprio dai Paesi che più ci invitavano a mantenere le distanze dalla Spagna. Il riferimento si fa scoperto alla Gran Bretagna. Dunque gli inglesi, che un lustro innanzi utilizzano proprio il canale spagnolo per riattivare il paralizzato interscambio italiano, sviano ora, con fini che appaiono più economici che politici, ma abbiamo fatto cenno al seguitare dei distinguo del governo Bevin, l’Italia da un più repentino avvicinamento. Le parole di Martín Artajo, già convincenti per Andreotti, sono confermate e rafforzate da un ulteriore incontro con il nunzio apostolico monsignor Gaetano Cicognani. Dal punto di vista della pubblicità e spettacolarità della politica quello che però più conta è il concordare il viaggio a Roma in occasione dell’Anno Santo sia del Ministro degli Esteri, Martín Artajo, sia della venuta a lucrare il giubileo di donna Carmen, consorte del Caudillo, per la indisturbata permanenza della quale il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si assume la personale responsabilità.
[1] L. Suárez Fernández, cit, Tomo IV p. 348.
[2] A. Viñas, Política comercial… cit, p. 379.
[3] L. Suárez Fernández, cit, Tomo IV p. 339.
[4] L. Suárez Fernández, cit, Tomo IV p. 340.
[5] PRO FO-371?79326?Z3138, da Foreign Office a Ambasciata Britannica a Madrid, Londra, 21 aprile 1949.
[6] PRO FO-371?79326?Z3605 e Z3682 sono le collocazioni di documenti non più esistenti nonostante la loro collocazione tra quelli reperibili.
[7] Intervista dell’autore al Senatore Giulio Andreotti. I corsivi sono testuali da questa.
[8] ABC, «El equipo nacional italiano, actual campeon del mundo, venció a la selección española por tres goles a uno», Madrid, 29 marzo 1949, pp. 15-18 e foto in copertina e nella nota grafica.
[9] ABC, «Llegada de aviones con aficionados para presenciar el partido», Madrid, 26 marzo 1949, p. 21.
[10] ABC, «Algunas opiniones», Madrid, 29 marzo 1949, p. 18.
[11] J. Tusell, Carrero, La eminencia gris del régimen de Franco, Madrid 1993, p. 458.