Tekojoja vuol dire “uguaglianza” in lingua guaraní, con il castigliano l’altra lingua ufficiale del più remoto paese dell’America latina, che da oggi rientra nella storia. Con il 41% dei voti infatti l’ex-vescovo Fernando Lugo, è da oggi presidente, ed è la prima volta in 196 di storia del Paraguay indipendente che un dirigente dell’opposizione arriva al governo pacificamente.
Ha sconfitto le oligarchie che, con il Partido Colorado che fu di Alfredo Stroessner, il Supremo echeggiato da Augusto Roa Bastos, avevano sempre dominato il paese ma che nella nuova America latina hanno dovuto accettare il trionfo popolare. Nel primo discorso da presidente eletto, Lugo ha detto che i suoi hanno dimostrato che “anche i piccoli possono vincere” e (riprendendo lo slogan del Venezuela bolivariano) che “il Paraguay adesso è di tutti”.
Tutte le volte che ha alzato la testa nella storia il Paraguay è stato castigato, castigato dai vicini nel nome di un impero. A metà ‘800, quando era forse il più avanzato industrialmente tra tutti i paesi del continente, la Banca di Londra pagò la Tripla Alleanza di Argentina, Brasile e Uruguay perchè distruggesse quella strana esperienza di sostituzione d’importazione in un continente obbligato a importare tutto dall’Inghilterra, l’impero dell’epoca. Si fermarono solo quando ebbero sterminato il 70% degli uomini adulti, laddove per uomini adulti si contavano anche i bimbi di 15 anni.
Negli anni ’30 del ‘900 accadde di nuovo. Standard Oil e Shell indussero i governi di Bolivia e Paraguay alla guerra fraticida e 85.000 nativi americani (boliviani e paraguayani) persero la vita per una guerra decisa a Wall Street. Poi venne Alfredo Stroessner, dittatore dal 1954 all’89, e non fu un caso che proprio Asunción diventasse il centro operativo del Piano Condor, il piano di sterminio contro i movimenti popolari e la società civile latinoamericana propedeutico all’imposizione del neoliberismo sul continente. Durante la dittatura almeno 30.000 furono uccisi o fatti sparire, centinaia di migliaia arrestati e torturati e un terzo dei paraguayani dovette esiliarsi, soprattutto in Argentina, dove si calcola viva oggi il 18% della popolazione. Il padre di Fernando Lugo fu arrestato venti volte, tre suoi fratelli furono torturati e lui stesso, diventato sacerdote, fu espulso dal paese per i suoi “sermoni sovversivi”.
Finita la dittatura non finì il dominio dell’eterno Partito Colorado, quell’oligarchia transazionale che in nome della proprietà privata dell’uno per cento della popolazione, continua ancora oggi a far detenere a questo il 77% delle terre fertili. Così il Paraguay è divenuto quel che è, con quel 77% di terre nelle mani dell’uno e spiccioli della popolazione. Ha sei milioni di abitanti, dei quali due sono infimamente poveri. Almeno 600.000 bambini vivono in denutrizione che vuol dire non vivere, non avere alcun futuro davanti se nella prima infanzia non hai la fortuna di alimentarti bene. Quasi mezzo milione sono i braccianti senza terra in una terra dove l’agroindustria dà sempre meno lavoro e solo il 20% della popolazione ha accesso a servizi medici di base. E’ la tragedia di una dittatura dimenticata perché si è voluta dimenticare, perché faceva comodo tanto all’agrindustria, come a quella dell’energia idroelettrica dalla quale Lugo vuole ripartire per dare dignità ad un popolo.
Intanto Fernando, che fin dagli anni ’70 era discepolo di Leónidas Proaño, una delle più lucide menti della Teologia della Liberazione, la Chiesa che sceglie i poveri, era tornato da Roma, e diventato vescovo di San Pedro, un dipartimento pauperrimo dove i paramilitari dei latifondisti bruciano sistematicamente le baracche di qualunque contadino che osi alzare la testa. Ma, forti anche di quel vescovo dei poveri, quei contadini hanno continuato ad alzare la testa, tanto che dopo l’11 settembre 2001, ben 4.000 di questi sono stati considerati “terroristi” e processati secondo le leggi di sicurezza volute da Washington e pedissequamente riprese ad Asunción, e che considerano i movimenti indigeni e contadini latinoamericani come “terroristi”.
Da oggi questa storia comincia a finire. Fernado Lugo, il vescovo divenuto ex per continuare a fare il pastore del suo popolo e per questo criticato aspramente da Joseph Ratzinger, è presidente. Ma non ci si inganni. La coalizione che ha portato Lugo alla presidenza, dalla sinistra dei movimenti ai liberali, con un vicepresidente amico di José María Aznar, è fragile. Molti rischi sono dietro l’angolo e molti passi dovranno essere compiuti. Ma il Paraguay oggi non è isolato come fu al tempo della Triple Alleanza voluta da Londra, o al tempo della guerra del Chaco voluta dai petrolieri, o al tempo del Piano Cóndor, voluto da Washington.
Da domani in Paraguay arriveranno i medici (cubani) a portare salute in un paese dove questa è stata sempre negata, in dittatura come in democrazia, e ci sarà la solidarietà della Patria Grande intera. Quello stare tra i giganti Brasile e Argentina non sarà più una morsa ma un’opportunità. Tanto Cristina che Lula hanno già annunciato che rinegozieranno quei contratti capestro firmati da Stroessner per le due grandi dighe di Itaipù e Yaciretá. E’ una rinegoziazione che permetterà al paese (come succede per il petrolio in Venezuela e il gas in Bolivia) di avere le risorse per finanziare i programmi sociali e la speranza che finalmente un po’ di tekojoja, un po’ di uguaglianza, riporti il Paraguay nella storia e nella Patria grande latinoamericana.