In Grecia Syriza passa dal 4,6% del 2009. al 16,7% dello scorso maggio al 27 e dispari per cento di oggi. Eppure, c’è da giurarci, più d’uno, nei giornali di domani, parlerà di sconfitta.
In Francia, senza il calor bianco del tracollo greco, oltre al fatto politico che da posizioni un po’ più avanzate di buona parte dei centro-sinistra europei, François Hollande ha spazzato via il berluschino Nicolas Sarkozy, e si propone come antagonista keynesiano della cancelliera Angela Merkel, la sinistra critica del modello passa dall’8% al 15% e con Mélenchon era arrivata all’11% al primo turno delle presidenziali.
La sconfitta di Marine Le Pen testimonia che non necessariamente il disastro del neoliberismo, che non è improprio paragonare a un nuovo 1929, preconizza un’uscita da destra. Basta delimitare bene il campo (la generosità di Mélenchon è stata encomiabile) e la canea dei Front National, delle Leghe Nord, delle Albe dorate può essere riaccompagnata nelle fogne dalle quali mai sarebbe dovuta uscire.
Chi perde, rovinosamente, è il centro-sinistra del PASOK, come già pochi mesi fa soccombé la finta sinistra del PSOE spagnolo. Con questi partiti, che nell’ultimo quarto di secolo hanno rappresentato l’appeasement al modello, ormai non si va da nessuna parte. In Italia, purtroppo, solo un terremoto può smottare i pavori concentrici del PD, di SEL e delle altre forte che girano intorno al centrosinistra.
Ma il segno di questo 2012 è positivo.
Per la prima volta, dopo trent’anni di sconfitte, o di finte, pallide vittorie, l’Europa appare per la sinistra un cantiere politico nel quale i dogmi neoliberali vacillano. Il cammino è lungo, ma il modello millenario del neoliberismo, che addirittura millantava di rappresentare “la fine della storia”, non è più in discussione solo in America latina.