Eric Salerno, Uccideteli tutti. La storia nascosta dell’olocausto degli ebrei libici, il Saggiatore 2008, pp. 239, Euro 17.
Recensione di Emanuele Giordana, “Il ministro Teruzzi con foglio riservatissimo ha comunicato al generale Bastico che il Duce ha deciso che tutti gli ebrei della Cirenaica siano riuniti in un campo di concentramento della Tripolitania…”. Come spiega la nota dei carabinieri italiani del 28 febbraio 1942 la “soluzione degli ebrei di Tripolitania”, per usare le parole del console tedesco a Tripoli, era stata avviata su diretta iniziativa di Mussolini. In realtà, l’operazione di pulizia era cominciata ben prima, a partire dalla promulgazione delle leggi razziali anticipate dal “Manifesto della razza” del ’38 e che prefiguravano, oltre alle disposizioni per l’Italia, anche le limitazioni da imporre agli ebrei residenti nelle colonie per “…togliere loro le posizioni acquisite in assoluta sproporzione con la loro entità numerica, ponendoli e tenendoli in un piano razziale inferiore”.
Gli ebrei di Libia erano diverse migliaia. Solo a Tripoli erano almeno 15mila di cui forse mille di origine italiana. Erano mercanti e imprenditori che figuravano soprattutto nell’élite locale ma non soltanto. Ce n’erano di provenienza italiana, francese, spagnola. Vivevano nelle città ma i più poveri, i “trogloditi della montagna”, campavano d’agricoltura e piccoli commerci in uno stato di palpabile povertà. A sentire il generale Badoglio, che ne scrive nel 1930, gli “israeliti d’Italia son meglio degli israeliti di Tripoli…veri indigeni…(in cui) prevalgono l’egoismo, il disinteresse per gli altri, la pigrizia materiale e morale”. La macchina dell’Olocausto era pronta comunque per tutti loro – ebrei di serie A o di serie B come la gerarchia razzista di Badoglio li aveva catalogati – e gli italiani la misero in moto istituendo un campo di concentramento a Giado, nel Gebel tripolitano, dove nel maggio del ’42 vennero trasferite 2.597 “unità”, come le chiama il linguaggio asettico della burocrazia coloniale.
Oggi Giado è una cittadina della municipalità di Yefren e del campo di concentramento non restano nemmeno più le macerie. Per vedere com’era bisogna ricorrere a Mushi Meghidish, Moshe per gli amici, che in un garage vicino a Tel Aviv l’ha ricostruito in scala sulla base dei suoi ricordi di internato: “ci dissero – ha raccontato a Eric Salerno – che ci avrebbero ucciso tutti. L’ordine era arrivato dall’alto. Da lontano”. Non tutti furono ammazzati ma Salerno, l’autore di “Uccideteli tutti. Libia 1943: gli ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado (Il saggiatore), stima che nel campo morirono circa 600 persone “…uomini, donne, e tanti bambini perché sono i primi a cadere”. Molti altri passarono il mare perché Giado era solo un avamposto nella macchina dello sterminio. Furono trasferiti in Italia e da lì a Bergen-Belsen “una delle anticamere della soluzione finale”.
Il libro di Eric Salerno, che alla Libia aveva già dedicato un bel saggio sul genocidio messo in atto dall’Impero, non riempie solo un vuoto storico della memoria collettiva su un capitolo dell’Olocausto poco indagato. Restituendo dignità agli ebrei di Libia, e per converso a quelli che vivevano nel Magreb, fa giustizia del duplice razzismo che li colpì: come ebrei e poi anche come africani. Uomini appartenenti a un mondo dove noi italiani avevamo portato la fiaccola della civiltà che avrebbe dovuto illuminare il cammino di popolazioni inferiori per carnagione, costumi e tradizioni oltre che per fede. Volutamente dimenticati dall’Italia, paradossalmente gli ebrei di Libia furono in qualche modo dimenticati persino da Israele: discriminati al processo ad Eichmann dove le sollecitazioni degli ebrei di Libia e Tunisia, che vi volevano testimoniare, vennero respinte.
Volutamente dimenticati dall’Italia, paradossalmente gli ebrei di Libia furono in qualche modo dimenticati persino da Israele: discriminati al processo ad Eichmann dove le sollecitazioni degli ebrei di Libia e Tunisia, che vi volevano testimoniare, vennero respinte. In parte questa storia nascosta degli ebrei del Magreb si deve anche a una sorta di loro vergogna o timidezza nel rivelare quel capitolo buio che costò la vita ad almeno mille persone. In parte. Spiega Yacov Haggiag-Liluf, del centro degli ebrei libici a Or Yehuda, cittadina vicina a tel Aviv, che “anche se quanto capitato agli ebrei libici non può essere paragonato all’Olocausto degli ebrei europei per dimensioni” per decenni è stato insegnato che “l’Olocausto era patrimonio degli ebrei europei, soprattutto degli askenaziti”. Fu detto a libici e tunisini – conclude – che non appartenevano a questa storia. Salerno restituisce loro quell’appartenenza.