Tutto quello che leggete nei giornali di stamane è stato spazzato via dalla realtà economica odierna, carta straccia trapassata dagli eventi.
Le dimissioni dopo la finanziaria (nel maquillage odierno “legge di stabilità”) per traccheggiare un altro mesetto e fregarci a dicembre, le foto dei “traditori”, le ipotesi sulle strategie di Silvio, si ricandida o no, Alfano o primarie, le insipienze dell’opposizione che non sa neanche decidere se fare le sue primarie, i calcoli sulle date (scordatevi prima di febbraio inoltrato). Nessuno di questi discorsi vale nulla dopo il sangue che scorre a fiumi stamane sui mercati.
Tutto spazzato via dal crollo verticale della borsa di Milano e dal volo sempre più in alto del differenziale di rendimento tra Btp e Bund a 560 punti. Siamo, come scrive Valigia Blu, oltre il punto di non ritorno. Una quota insostenibile che ci farà pagare l’ostinazione di un uomo solo per anni, almeno dieci nella peggiore delle ipotesi.
Ad ora, mezzogiorno del 9 novembre, qualunque patto fatto appena ieri sera da Napolitano con Berlusconi non ha più alcun valore, e l’approvazione della finanziaria è una foglia di fico che il paese non può attendere. Così passano in secondo piano le giuste preoccupazioni -che chi scrive condivide in toto- del fatto che un governo espressione della BCE sia un governo che costringa ai sacrifici i lavoratori e quelli che pagano sempre.
E’ un dibattito che oggi non è all’ ordine del giorno perché va fermata una spirale di interessi sul debito che ci costa ben di più di un ticket sulla sanità, un taglio orizzontale sulla scuola. Semplicemente ci stanno dissanguando, non è un ricatto.
Oggi, non domani, Berlusconi deve essere abbandonato al suo destino e fatto dimettere, a questo punto con le buone o con le cattive. Non può più la sua scellerata ostinazione, i suoi calcoli personali, trascinare sul fondo con lui un paese di 60 milioni di abitanti.
Oggi non domani, deve essere impedito a Berlusconi di fare quello che è il suo unico progetto politico al momento: fare come nel 2006 quando, gestendo lui le elezioni e imponendo il Porcellum, impedì in maniera eversiva a Romano Prodi e al centro-sinistra di governare.
Oggi, non domani, si dia all’Europa quello che vuole, un governo Monti che giuri entro domenica con due punti di programma ed una condizione. I due punti all’ordine del giorno sono la legge elettorale per portare il paese a votare non più tardi di maggio 2012 e il risanamento dei conti pubblici, ovvero riportare il rapporto debito/PIL il più vicino possibile a dove l’aveva lasciato Romano Prodi, ovvero intorno al 103% contro l’insostenibile, disastroso 120% al quale ci ha portato il satrapo lombardo. L’unica condizione è che qualunque manovra sia composta per due terzi da una patrimoniale che gravi sul 30% più abbiente del paese. Tutto il resto sono dettagli.