Già, mi arrendo. Ho già capito che mi tocca tradurle le righe che ho scritto stanotte sul Che, Ernesto Guevara, e non c’è verso di sfangarla. Ma le richieste di traduzione mi fanno capire perché ho sentito il bisogno di scriverle in spagnolo e quanto è intima la figura di Ernesto e quanto è poco utile questo Che gridato, il Chesù Cristo dell’immagine qui a fianco, (brutta eppure esemplificativa) questo Che icona pop, e quanto è ancora necessario il Che nostro.
Mi rompono gli anniversari e non trovo parole per parlare di lui. Chi sono io perché giornali, radio, mi chiamino per parlare di lui? E poi mi esigono che prenda posizione, mi pretendono, tanta merda[1]… continuamente e questo mi rompe ancora di più.
Io mi ricordo l’emozione del Pepe che mi portava al Caffé La Habana, lì in Messico, dove Ernesto conobbe i cubani. E proprio lì dietro l’angolo, a vedere il punto esatto dove gli sbirri di Machado rubarono a Tina[2], e a tutti noi, Julio Antonio[3]. E mi ricordo del Marcelo Ricardi[4], a Bellavista. Quando entravo nel "4 y 10[5]" immediatamente mi salutava e mi dedicava "El necio", lì a Santiago. Mi inorgogliva, accresceva il mio ego, nonostante fosse totalmente immeritato. Ma mi ci dovevo confrontare e confrontarmici rispetto al mio quotidiano qualsiasi. E mi animava, anche se mi causava vergogna (sana) ascoltare Marcelo suonare Silvio, e io bevendo birra, oppure "tirando fuori una bottiglia dal frigorifero, avere fame e mangiare, questa cosa così semplice, digitare le tre lettere mondiali del tuo nome…[6]"
E ancora di più mi rompe da morire quando parlano di lui. Lo raccontano come un tipo assurdo, inarrivabile, un gigante, un mito, un dio, lì nell’empireo. É la miglior maniera di assassinare il Che piccolino che tutti abbiamo dentro. Lui non era altro che un uomo. Con "un fucile e un mandato[7]", lo stesso mandato di Don Salvador, di Fidel, del prete Mujíca[8], di Sendic, di Julio Antonio, Emiliano[9], di Ivonne[10] quando era piccola e ancora adesso, di Roque Dalton, di Juan e Maria, di Pedro e José[11] e milioni di donne e uomini che hanno il coraggio di abbattere tutte le recinzioni che dividono un continente. Quelli di ieri e quelli di oggi[12], con Evo, con Hugo, i Sem Terra, gli indigeni, questa generazione nuova che non ne sa molta eppure sa nel proprio intimo cosa vuol dire "ribellione". Il normale, quotidiano, comune diritto-dovere ad essere "ribelli" contro la disuguaglianza e l’ingiustizia.
Ha detto Evo[13], ieri a la Higuera, che fino a che ci sarà capitalismo il Che sarà vigente, fino a che non ci sarà l’unità latinoamericana il pensiero del Che sarà necessario. E poi, aggiungo io, poi il Che sarà ancora più vigente e necessario, perché l’uomo nuovo dovrà essere ancora più ribelle, e la ribellione sarà ancora più necessaria, "il giorno che finalmente bruceremo le navi[14]"…
…la testa dura del riconoscere chi è il nemico…
la testa dura di vivere senza avere prezzo[15]…
[1] Silvio Rodriguez, El necio. El necio è una canzone dedicata da Silvio ad Ernesto, possiamo tradurlo… la testa dura.
[2] Tina Modotti.
[3] Julio Antonio Mella, dirigente rivoluzionario cubano e compagno di Tina Modotti, assassinato nel 1929 a Città del Messico dai sicari del dittatore Machado.
[4] Trovatore cileno.
[5] Luís Eduardo Aute.
[6] Mario Benedetti, frammenti di Costernados, rabiosos, in A ras de sueño, 1967, «Inventario», cit. p. 434.
[7] Mario Benedetti, frammenti di Allende, in Nombres proprios – Viento del exilio, 1980-1981, «Inventario», cit. p. 59.
[8] Carlos Mujíca, sacerdote per il terzo mondo assassinato dalla AAA in Argentina.
[9] Emiliano Zapata.
[10] Ivonne Trías.
[11] Daniel Viglietti, A desalambrar.
[12] Jaime Roos.
[13] Evo Morales, Presidente della Repubblica boliviana.
[14] Mario Benedetti, frammento di Quemar las naves.
[15] Silvio Rodriguez, El necio.
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