Molti amici, che ringrazio, da tutta la mattina, mi stanno segnalando questo o quel quotidiano e la maniera univoca, non equilibrata, esclusivamente antichavista, di coprire il tema della riforma costituzionale proposta da Hugo Chávez in Venezuela, della quale ho scritto a questo link. Certo non sorprende.
Per non far torto (sic!) a questo o a quello non ne citerò nessuno nel merito, ma mi sembra fondamentale ribadire un concetto. Scrivono di America latina spesso dall’Italia, oppure dagli Stati Uniti, e dubito che alcuni di loro sappiano lo spagnolo. Quindi hanno letto materiali di risulta, lanci di agenzia, scribacchiato e scopiazzato di qua e di là, con un’unica stella polare: non perdere tempo.
Non capiscono, proprio non vogliono capire, che veicolare SOLO il punto di vista di Washington, non è lo stesso che fare informazione. Stanno tradendo, truffando i propri lettori, fossero anche del Giornale o del Foglio, che pure hanno diritto di essere informati e non vedersi ammanniti una verità preconfezionata! Ma questi giornalisti sanno solo che se scriveranno quello che vuole il NED, nessuno potrà rimproverarli. E non si pongono proprio il problema di approfondire, anche se in teoria sono pagati per approfondire i temi ed esporne sintesi ai lettori. Ieri nelle redazioni, di fronte a una riforma costituzionale complessa, l’unica cosa comprensibile era il tema della rielezione: cattivo, vuole restare a vita! E solo su quella (ma senza capire né spiegare neanche di quella i termini della questione) hanno puntato.
Ciò è figlio di un paio di conosciute questioni che i banali anatemi contro Chávez che sono su tutti i giornali di oggi, rendono ancora più manifeste.
Innanzitutto il dominio oramai assoluto dei grandi gruppi informativi. Paradossalmente un eventuale grande inviato a Caracas di un grande quotidiano avrebbe potuto fare una grande copertura neutrale (non filochavista, neutrale), ma poi, dalla redazione, gli avrebbero comunque schiaffato sopra un cappello che avrebbe stravolto il senso: “Chávez presidente a vita”. Di fronte ai burocrati del giornalismo, che considerano come unico valore il proprio posizionamento (leggasi interesse) personale, non c’è inviato onesto che tenga.
Oramai la tecnicizzazione sta trasformando il mestiere di giornalista in un mestiere per ignoranti: se sai che “su qui e qua l’accento non va” vai già bene. Il giornalista sempre meno è un intellettuale, un umanista, in grado di pensare con la propria testa. Sempre più spesso è un tecnico del desk, bravo a rigirarsi con Google e agile nel copia e incolla.
Non è affascinante il dibattito sul socialismo che si tiene in Venezuela? Magari per criticarlo, e rigettarlo in toto, ma possibilmente discutendone a tono, non lasciando trapelare che non sai di cosa diavolo si parla e che non ti conviene saperlo, che è quanto si evince dalla stampa di oggi.
Certo, è interessante il dibattito su come uscire dai disastri del neoliberismo. Ma a patto per esempio di avere un minimo di cultura per capire i termini del dibattito che c’è dietro la questione di un nuovo bilanciamento di poteri più adeguato ai tempi e alla necessità di fare inclusione sociale, di quello che parte da Montesquieu e passa dal “checks and balances”. Altrimenti non potrai far altro che scrivere “quel fesso di Chávez blatera del Poder popular ma solo per avere lui più potere”.
E non è importante il tema del riscatto della “proprietà comunale”? Come fai a scrivere che se lo stato difende ANCHE la proprietà comunale allora è la fine della proprietà privata in Venezuela? Certo, sarebbe interessante discutere, a patto di avere letto qualcosa nella vita e di non essere allergico a qualunque prodotto del pensiero umano che non sia completamente interno al pensiero unico.
Sarebbe interessante discutere soprattutto con interlocutori che hanno idea di cosa siano le proprietà comunali nella storia, in Europa e in America, che sappia discutere di enclosures e che non pensi solo che dev’essere una trappola di Chávez per cancellare la sacra proprietà privata e fare come a Cuba. Del resto a loro cosa importa che proprio la guerra contro le proprietà comunali è stata all’origine dell’esclusione sociale degli aborigeni e dei contadini, della nascita del latifondo improduttivo, dell’espulsione dalle campagne e all’inurbazione che ha trasformato le capitali latinoamericane in megalopoli senza speranza. Sarebbe stato bello spiegarlo, magari in poche righe, ad averne la cultura. Mannò, è più facile liquidare il megalomane Chávez che inventa cose strane.
Questo giornalismo senza valori e senza stimoli è prodotto dell’impoverimento culturale delle nuove generazioni imposto dal modello. Ma detta questa cosa un po’ da grillo parlante, parliamoci chiaro: conviene a Cotroneo da Río de Janeiro, a Ciai da Miami o a Molinari da Nuova York o a tanti altri, di capire lo sforzo sovrumano di milioni di esseri umani per riscattarsi dall’esclusione sociale alla quale sono sottomessi? Non conviene. E questo chiude, tristemente, la discussione.