Claudia Gambini: In riferimento al tuo articolo Da Salvador Allende a Hugo Chávez. A cinque anni dal golpe in Venezuela non stupisce che nelle piazze occidentali europee non ci siano reazioni di masse, o movimenti spontanei, affini, in qualche modo, al sommovimento ideale-e-reale che fa muovere le gambe a quelle dell’America latina. Le condizioni non sono equiparabili, questo è chiaro. Da noi le masse non si difendono, né c’è una “bassa società civile” che con movimenti sociali riesce a creare un’unità di base… “permanente”, gravitante attorno a “qualcosa” e diretto verso “qualcosa” di altrettanto stabile, focalizzato, definito.
Non ci sono più, profili di sommovimenti simili (ammesso che sia corretto e onesto dire che simili lo siano, e non semmai la nostra esigenza di comprendere, interpretare, rispondere.. alle nostre domande, ai nostri bisogni..); il pensiero deve tornare indietro a quelli in Italia durante e dopo la II Guerra Mondiale.. per trovare immagini, mentre pensando all’oggi mi suona in testa il rumore, fastidioso, dei discorsi sui “bo-bo” francesi………. visto che altre forme di movimenti sono ?finestre? che vengono aperte dalla nostra comoda postazione panoramica.. (come una sdraio in prima, anzi seconda fila, in una spiaggia privata: da cui osservare i World Social Forum, le “lamentele” di ?questi? immigrati, i “soliti no global”, gli studenti in piazza…)
Non che il problema sia la mancata o offuscata decifrazione di sé, oppure dell’altro elemento della dialettica che perderebbe quindi la funzionalità identificante e motrice di una posizione da assumere, delineare.
Non ci sono i luoghi, non ci sono le piazze, non ci sono i soggetti che parlano e comunicano quel tipo di linguaggio, che nasce e assume particolari forme e significati di mobilitazione in determinati momenti, non vengono ‘scambiati’ contenuti.. e al contempo l’unico linguaggio che viene esposto a bandiera unificante, come un ombrello gigante di un soggetto nebulosamente ‘coeso’ e lo zenith del bisogno primario di espressione e di manifestazione, quanto meno, dell’esistere, è politicizzato: si appropria di valori del senso comune in maniera indolore e sublime.
Da noi, ad esempio il Presidente Operaio pensa a dare il lavoro agli italiani, sua moglie esprime una fulgida libertà da difendere pubblicamente, una donna da ammirare, oppure la Thatcher che spostava ansie e malesseri sui “moral panics”, e ridisegnava i concetti di legge, ordine, l’inno alla famiglia e la britishness..(Stuart Hall ha letto lucidamente questi meccanismi attraverso l’utilizzo del concetto di ?populismo autoritario? e denunciato l’incapacità della sinistra di leggere l’aspetto peculiare, ideologico e linguistico, dell’articolazione di certi discorsi), o G.W.Bush che ci ha drogati di dosi massicce di ?guerra contro l’asse del male?, preparandoci a un mondiale SuperBall tra buoni e cattivi.. in cui attori come Schwarzy riscuotono un successone, attirano i riflettori.. nel frattempo che gli stati canaglia offrono colpi di scena e se qualcuno sbaglia, anzi buca, fraintende, la strategia giusta è sempre un collaboratore, un vice, o un’idea di un avversario politico stupido, mai il Boss.
Da noi non assistiamo a nessuno scenario autoidealizzante (menomale!…e anzi forse risulterebbe un’ipotesi di fantascienza) né al governo e alla Costituzione come base di organizzazione sociale. Già.. proprio qui da noi: nella grande casa della monolitica, sovrana e foucaultiana relazione (e coscientizzazione) “potere-sapere”, l’Europa delle Ideen, della Kritik, della cura della società..
Buffo no?
Centri polisemici e mutevoli sono le parole ed anche i luoghi della ipermodernità, per lo più e facilmente mentali prima che fisici, del nostro modo di non essere massa ma “consumatori culturali”…. cittadini di democrazie aperte, siamo evoluti noi, eredi di Popper e Kuhn, noi ci ritroviamo a fare capannelli che non sono altro che delle babele linguistiche e di significati, in una dispersione caotica e in rapidissima trasformazione rispetto all’intervento del tempo (a tal punto da farcene anche perdere le coordinate), in un contesto magmatico di ombre di Partiti meteorizzati, ossificati in letture ideologiche dell’esistente (o comunque sempre calibrate alla situazione contingente e territoriale).
E’ chiaro che ” E’ affascinante come molti termini propri delle categorie politologiche latinoamericane, vengano traslati e volgarizzati in Europa, per restare incompresi a destra come a sinistra” ..altrettanto che non sia casuale… ma che dopo tutto sia (sì per incapacità di fondo, per impossibilità strutturali ma anche) per mancata volontà, presuntuosa cecità, che questo avvenga.. Per quanto tempo abbiamo orientato le nostre riflessioni pensando che qualsiasi movimento, anche intellettuale, di critica all’esistente potesse, dovesse nascere dagli “esclusi”, da coloro che chiamavano i dannati della terra, le periferie del centro, dopo che il concetto di ‘classe’. risultava inutilizzabile e quasi con tremore ci si discostava da esso, educati che gli intellettuali ‘dirigono’ le masse, le elevano, e le cose ?la storia- vengono così trasformate, modificate : modello di lettura storiografica e incipit di utopie ? Non è questione solo di centralità della nostra identità e di utilizzo di categorie inadeguate ma di un asse che è inclinato su sé stesso.. e che avverte, anzi sa e si osserva, di aver perso la mobilità?
Eppure a me non basta per capire i perché… e i come… ma di questo mosaico, anche la mia vista riflette frammenti ed è riflessa dal prisma.
Tutte cose ovvie.. ma tanto ovvia non è stata per me, la rabbia da gestire riflettendo su queste cose… E non si dica che la sensatezza si azzittisce, perché non è vero! si mostra in più sfumature: parole scritte, orali, di “incazzatura”, di risata, o perfino di silenzio, in una quiete laboriosa, poiché è sempre all’opera… è sempre in vita… grazie al Cielo.