Succedono cose interessanti rispetto alla stampa e all’America Latina. Succede per esempio che El País, giornale nato dall’antifranchismo militante e legato a doppio filo con il PSOE, nella sua edizione internazionale -ovvero messicana- sia schierato al 100% con il neofalangista Felipe Calderón. E´ vomitevole come un quotidiano con quella storia -e per il quale non mi pregio piú di aver lavorato a metá degli anni ’90- si spelli quotidianamente le mani per un signore che poteva fare al massimo il sottosegretario con Francisco Franco, perché sarebbe stato considerato troppo di destra, e che ha giá designato come ministro dell’interno un riconosciuto repressore, torturatore e assassino come Francisco Ramirez Acuña, ex governatore panista di Jalisco. Silenzio del País.
Appoggiare il neofalangista Calderón per El País significa svillaneggiare e ridicolizzare ogni giorno con attacchi durissimi il centrosinistra di Andrés Manuel López Obrador, che é in realtá una fotocopia del PSOE in Messico. Diffcile da spiegare. Una cosa é essere critici con la “presidenza alternativa messicana”, lo é anche chi scrive, un’altra é offendere le centinaia di migliaia di messicani radunatisi lunedí allo Zócalo di Cittá del Messico (prima o poi le foto) per difendere il loro legittimo diritto ad avere delle elezioni senza brogli.
Brutta storia, povero País, dover essere la Pravda del neocolonialismo spagnolo in America Latina.
Succede anche che Sergio Ramírez, l’ex rivoluzionario nicaraguense, oggi scrittore di successo, si accorge di averla fatta grossa a farsi usare dalla stampa mainstream per dire che meglio l’ultradestra che Daniel Ortega. Scrive un lungo pezzo che intitola “il beneficio del dubbio”, nel quale, confermando le critiche piú sensate a Daniel, fa delle aperture importanti che sono quelle che sostanzialmente ha fatto tutta la stampa di sinistra (davvero) latinoamericana: “Daniel non ci piace, ma la sua vittoria é il meglio -o meno peggio- che poteva succedere in un paese distrutto da 16 anni di neoliberismo”. Ovviamente nessuno dei quotidiani che avevano strombazzato le sue prime dichiarazioni lo hanno ripreso. Se l’é cercata, ma in una settimana é passato da grande anima della sinistra nicaraguense a signor nessuno: “Sergio usa e getta”.
Va da sé che se per La Repubblica il movimento della APPO in Messico deve essere criminalizzato come “i facinorosi di Oaxaca”, qualcun altro sarà interessato a letture meno ideologiche e false su di un movimento nato dalla disperazione e dalla repressione ma soprattutto dalle straordinarie capacità di resistenza del popolo messicano. Tutte cose che a La Repubblica sono da tempo passate di moda.
Intanto é iniziato -ma non era mai finito- il tiro a palle incatenate contro Hugo Chávez che tra otto giorni sará riconfermato Presidente del Venezuela. Vari amici segnalano che La Repubblica, che proprio non ha fantasia, ha di nuovo tirato fuori la balla del militarismo venezuelano.
Angela Nocioni, che a passo dell’oca sta entrando nella leggenda del giornalismo antilatinoamericano, propone sul supplemento Donna di La Repubblica un pezzaccio lugubre con tanto di “foto che sembrano prese su un back stage di un b-movie di terz’ordine” dove si mostra terrorizzata dalla militarizzazione del Venezuela di Chávez. Cara Nocioni, cara Repubblica, a quanto un bel servizio sull’alfabetizzazione in Venezuela?
Per finire, come direbbe Milena Gabanelli, una buona notizia: Reporter senza Frontiere si è accorto del caso di Fredy Muñoz, il giornalista di Telesur arrestato in Colombia. Il povero Troisi avrebbe chiosato: “miracolo, miracolo”.