È morto a Montevideo Mario Benedetti, scrittore, giornalista, rivoluzionario, ma soprattutto poeta. Era il poeta del popolo, cantava l’amore e la Patria Grande, e chiamava per nome e cognome i nemici dell’America latina.
Militante politico latinoamericanista, perseguitato ed esiliato in dittatura, coscienza critica del Novecento, cantore della dolcezza dell’amore. Il linguaggio, l’ironia, la sensibilità, la modestia, l’umanità lo facevano dei grandi poeti latinoamericani del XX secolo quello sicuramente più popolare.
Così Don Mario Benedetti era soprattutto, cosa rara per la poesia, conosciuto ed amato da moltitudini, milioni di persone che da un capo all’altro del continente conoscono e recitano a memoria decine e decine dei suoi versi, “Tattica e Strategia”, “Non salvarti”, “Bruciare le navi”, “Facciamo un patto”, “Difesa dell’allegria” e cento altre.
Ed erano moltitudini quelle che affollavano i suoi recital a migliaia da Città del Messico a Buenos Aires, da Santiago del Cile a Madrid fino ovviamente a Montevideo, la città che ha raccontato nei suoi romanzi, da “La Tregua” a “Grazie per il fuoco”, come nella sua poesia e, con Madrid e L’Avana, centro della sua vita di artista e intellettuale pienamente immerso nella causa popolare.
Nei recital, spesso accompagnato dalla voce inconfondibile e dalla chitarra fraterna di Daniel Viglietti, e prima ancora nei campi di concentramento delle dittature, dove le sue poesie correvano di bocca in bocca, i lettori di Benedetti si innamoravano e disinnamoravano, scendevano in piazza e si politicizzavano e sapevano sentire sulla loro pelle le ingiustizie del mondo. È il primo poeta ad aver gridato, “costernato, rabbioso”, l’assassinio di Ernesto Guevara, la morte di Salvador Allende, “l’uomo della pace”, denunciato la morte imperdonabile del poeta salvadoreño Roque Dalton, chiesto dove sono i desaparecidos.
Orientale e latinoamericano universale è a Montevideo e in Montevideo che ha ambientato soprattutto i romanzi, la saggistica, ma anche tanta parte della sua poesia. È a Montevideo che si è infine tornato a stabilire negli ultimi anni. Lo ha fatto in un appartamento di un normale condominio all’angolo tra la 18 luglio e Via Zelmar Michelini, la traversa intitolata al politico fondatore della coalizione di centro sinistra del “Frente Amplio” assassinato dalla dittatura.
E Montevideo, peculiare città, si è identificata nel suo poeta proclamando il lutto nazionale e, dopo averne seguito per settimane trepidante i bollettini medici, sta sfilando da 14 ore (alla chiusura di questo articolo) a decine e decine di migliaia di persone per rendere omaggio (sembra incredibile nel nostro tempo) a lui, un poeta.
Di lontane origini umbre era nato nel 1920 a Paso de los toros, nel dipartimento di Tacuarembó, al centro del paese, lo stesso dove secondo la tradizione orientale nacque Carlos Gardel nel 1887. Prestissimo si sposa con Luz Alegre, l’amore di tutta una vita, la presenza imprescindibile, la malattia e la morte della quale è stata motivo di insopportabile sofferenza negli ultimi anni.
Da allora inizia una vita normalissima e leggendaria allo stesso tempo, docente universitario, giornalista, scrittore, poeta. È la vita di un “guastafeste” come fu intitolata una delle biografie a lui dedicate. Dirigente di primo piano del Movimento 26 marzo, il braccio politico della guerriglia dei Tupamaros, al momento del colpo di Stato nel 1973, deve esiliarsi prima a Buenos Aires, quindi brevemente a Lima, poi a l’Avana e infine a Madrid.
L’esilio dura dieci lunghi anni e torna in Uruguay solo nel 1983 dove comincia quello che definisce con un neologismo, “desexilio”, “disesilio”. Cominciano gli anni dei grandi riconoscimenti internazionali ma quello che è più importante è che generazioni di latinoamericani lo considerino un maestro di vita. Soprattutto negli anni Benedetti resta sempre fedele a se stesso e alla storia del Continente, alla critica senza perdono del neoliberismo, alla memoria e alla ricerca di giustizia per i desaparecidos, alla difesa della Rivoluzione cubana, “un fatto fondamentale e fondativo” per l’America latina “che gli europei non possono capire”.
La nuova primavera del Continente arriva negli anni più difficili e dolorosi per lui che aveva scritto “Primavera con un angolo rotto”. Don Mario non smette di seguire con affetto ed esprimere il suo appoggio al governo del Frente Amplio in Uruguay, a Hugo Chávez in Venezuela (che andrà a Montevideo a vederlo in una delle ultime uscite pubbliche del poeta nel 2007), Evo Morales, Lula, la Rivoluzione Cubana. Dopo una vita all’opposizione il poeta del popolo se ne va quando il popolo si fa governo e, “in strada, fianco a fianco, siamo molti più di due”.