Sulla vicenda della bimba bielorussa, l’amico Pietro Ancona ha pubblicato sul Corriere della Sera di ieri questa bella lettera, con relativa risposta, alla quale dà il titolo inequivocabile di "razzismo". Ovviamente la lettera è di prima del ritrovamento della bimba ma fa il punto su molte cose delle quali ci siamo preoccupati in questo sito, anche con l’aiuto della corrispondente da Mosca della Stampa Francesca Sforza. Noto con sollievo che la vicenda ha superato la fase critica -ovvero la bambina è stata rintracciata e messa al sicuro dall’amore dei suoi irresponsabili ospiti- e che con il passare dei giorni, un barlume di saggezza si è fatto largo anche nei nostri media. Nonostante ciò i coniugi Giusto continuano a spacciarsi e la stampa continua a spacciarli come "genitori affidatari".
"Non è commendatore? La Faranno!"
Totò
Pietro Ancona: Penso che sia giunto il momento di costringere la famiglia affidataria di Maria a rivelare il rifugio dove è nascosta la bambina. Non si può umiliare ulteriormente uno Stato sovrano che si è impegnato a fare piazza pulita del "lager" dove era rinchiusa la bambina. L’Italia è piena di orfanotrofi, fra cui alcuni religiosi, dove succedono cose orribili. Eppure nessuno si sogna di considerare l’Italia inaffidabile per questo o complice dei seviziatori e dei carnefici dei bambini sfortunati. C’è un non so che di senso di superiorità "nazionale" a considerare la Bielorussia come uno Stato che possa subire a lungo una ingiustizia come quella che sta patendo.
Corriere della Sera: Caro Ancona, grazie per la sua lettera. Dopo un un gran numero di messaggi indignati in cui la Bielorussia veniva raffigurata come l’incarnazione del male, il pendolo, grazie al cielo, ha cominciato a oscillare dalla parte del buon senso. Lei ha perfettamente ragione quando osserva che casi simili a quello di Maria sono accaduti anche in Italia. Avrebbe potuto aggiungere che non vi è Paese europeo in cui non sia esploso negli scorsi anni lo scandalo di un orfanotrofio o casa di riposo in cui bambini e vecchi venivano trattati, spesso per ragioni di lucro, in modo disumano. La vicenda di Maria mi ha ricordato un film di qualche anno fa, premiato con il Leone d’oro al
Festival di Venezia. Si chiama Magdalene ed è opera del regista scozzese Peter Mullan. Vi si racconta la storia di un convento irlandese, negli anni Sessanta, dove alcune ragazze "perdute" venivano trattate con sadica brutalità. Il film, comprensibilmente, non piace alle gerarchie della Chiesa. Ma soltanto a qualche fazioso antipapista può essere passato per la mente che quel convento fosse tipico delle istituzioni cattoliche. Ciò che mi ha maggiormente interessato e preoccupato nella vicenda di Maria è l’ondata di
pregiudizi sulla Bielorussia che sembrava essersi improvvisamente diffusa in Italia. Posso immaginarne le ragioni. Da Minsk, negli scorsi mesi, sono arrivate notizie e immagini allarmanti sul regime di Lukascenko: elezioni truccate, manifestazioni vietate, dissidenti arrestati. Ma è giusto che un giudizio sul sistema politico debba ricadere sull’intero Paese? La Bielorussia è una vecchia terra europea collocata fra Russia e Polonia, formata nel corso del tempo da influenze culturali e religiose che appartengono alla storia del continente. Ed ecco che improvvisamente, nell’immaginario collettivo della società italiana, questo vecchio Paese diventa terra di lager per bambini, di brutali seviziatori, di funzionari corrotti e inumani. Questo fenomeno non è nuovo. L’abbiamo visto all’opera in
questi ultimi anni nei confronti di altri popoli e comunità, soprattutto nel mondo dell’immigrazione. Temo che il processo mentale da cui escono questi giudizi assomigli a quello che produce il razzismo. E aggiungo di avere provato un certo imbarazzo pensando al povero ambasciatore di Bielorussia, impegnato a difendere l’immagine del proprio Paese in una situazione inquinata da tanti pregiudizi.
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