Piergiorgio Welby, l’eutanasia e il problema di chi “attacca la spina”

Come le persone che mi sono più vicine sanno, ho appena vissuto la malattia e la morte di un familiare strettissimo. E’ stata un’esperienza durata quattro anni con una tragica fase finale di sette mesi che -se pure mai ci fossero state- hanno scosso tutte le certezze sul tema anche di una persona saldamente laica come chi scrive.

Si trovano persone straordinariamente superficiali rispetto al tema dell’eutanasia, sia in un senso che in un altro. E’ superficiale chi considera l’eutanasia come una cosa facile e moderna, quasi un prodotto da banco da vendere senza ricetta medica, ed è altrettanto superficiale chi è sordo e cieco a qualunque sofferenza altrui per quanto atroce e per quanto inutile.

Purtroppo il primo problema non è il dogma, ma è l’opportunismo politico che fa del dogma solo un laido rifugio del conformismo. E l’opportunismo politico in parlamento -come pure nei media- impedisce il dibattito, in democrazia come sotto la più oscurantista delle dittature.

Lo si è visto con la "gaffe" di Ratzinger in Germania. E’ stato lampante che i teocon e gli atei devoti avevano una visione dell’infallibilità del papa straordinariamente più ampia di quella che nessun papa di Roma, da Mastai Ferretti a Ratzinger, avesse mai teorizzato.

Non trovo assurdo il fare i conti con un dogma, anche con un dogma altrui, e con le sensibilità di quanti si riconoscono in quel dogma. Ma ciò a patto che il dogma faccia i suoi conti con la modernità. Questa, anche per i fedeli, per quanto ne possano essere turbati o impauriti o perfino disgustati, è anch’essa un prodotto divino. Il rifiuto della modernità, quello che fa considerare giusto ai talebani imporre agli altri di vivere come al tempo del profeta, o dà ai rabbini ortodossi il diritto di circoncidere i bambini con i denti, è una patologia, non un diritto.

Dietro il rifiuto della modernità c’è il rifiuto della temporalità, ma in ultima analisi c’è il rifiuto dell’umanità in quanto tale, con le sue conquiste e le sue ignominie, per rifugiarsi in una divinità perfetta che per sua stessa natura esclude l’umanità stessa e che oggettivamente diviene inumana.

Ed è la modernità, il progresso dell’umanità, ricercato tenacemente e con speranza dall’uomo, ad aver prodotto macchine meravigliose in grado già oggi di allungare quasi indeterminatamente la vita del corpo. Ma sono macchine che palesemente eludono il problema della morte del corpo. Sono macchine pensate in maniera meccanica per allungare la vita del corpo ma non sono state pensate -e non si fanno carico- del problema della mortalità del corpo e della naturalità della morte.

E’ legittimo pensare che anche l’invenzione di quelle macchine possa essere parte di un disegno divino. Anche l’invenzione delle sbarre di un carcere sono parte di quel disegno. Ma l’umanità si è creata degli strumenti di clemenza, la fine della pena, l’indulto, l’amnistia. L’umanità ha condannato la tortura e tenta faticosamente di liberarsene. Da quelle macchine non c’è amnistia possibile. Non sono pensate per curare, ma solo per fare andare meccanicamente delle singole parti di un essere umano che non funziona più.

Se anche quelle macchine fossero parte di un disegno divino, è impensabile che l’uso di quelle macchine, che permettono ad un corpo inerte solo un simulacro di vita, possa essere obbligatorio come un carcere, una pena afflittiva. Ciò va oltre il dogma e priva l’uomo -oltretutto l’uomo in stato di debolezza, il malato- di ogni libero arbitrio residuo.

Come il dogma rifiuta l’evolversi dell’umanità, così quelle macchine, in quanto prodotto della modernità, rifiutano l’idea della morte come parte della vita. Ma la morte resta parte della vita, per quanto macchine sempre più sofisticate riusciranno in futuro a separare la vita dalla morte.

Credo che parole di saggezza, che offrono un nuovo punto di partenza ad un dibattito che deve essere possibile, siano proprio quelle che espresse Piergiorgio Welby a Claudio Sabelli Fioretti nel 2001. Sosteneva Welby: "Non ci dobbiamo scontrare su come, quando e chi debba "staccare" la spina… bisogna che la scienza si domandi, al momento giusto, se sia lecito "attaccare" o meno quella spina".


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