La Stampa di Torino ha fatto quello che i giornali dovrebbero fare sempre: andare a verificare. Lo ha fatto rispetto al caso della bambina bielorussa attualmente nascosta (se il termine sequestrata vi risulta forte) dalla coppia della provincia di Genova che la ospitava. Ed a sorpresa ha trovato una situazione diversissima da quella prevista. Il caso è noto: la coppia, Alessandro Giusto e Maria Grazia Bornacin, di Cogoleto, ha giustificato la mancata restituzione della bambina denunciando che la bambina sarebbe stata sottoposta a sevizie, stuprata, che minaccerebbe il suicidio e che l’orfanotrofio dove Maria risiede legalmente a Veleika, cento km a nord ovest dalla capitale Minsk, viene descritto dalla coppia come un lager fatiscente, in preda al degrado, alla sporcizia e alla violenza. I media italiani s’erano tuffati sulla storia con la superficialità di sempre. Nessuno, proprio nessuno si è sognato di mettere in dubbio che l’orfanotrofio fosse un lager e nessuno proprio nessuno ha messo in dubbio, senza neanche aver visto la bambina, che ivi fosse seviziata. Del resto è possibile che un orfanotrofio in Europa orientale non sia un lager? Ed è mai possibile che una bambina in Bielorussia non sia seviziata? E soprattutto, a quale giornalista può convenire mettere in dubbio la parola di una brava coppia del norditalia?
E’ venuto in mente a La Stampa, che è andata a vedere. Sorpresa! L’inviata, Francesca Sforza, descrive una situazione radicalmente diversa, di fatto inconciliabile con le denunce della coppia italiana. Francesca Sforza non trova porte sbarrate né bocche cucite a Veleika. Arriva inattesa ma viene ricevuta senza formalità dal direttore, come si può leggere diffusamente a p. 1 e p. 17 della Stampa di oggi. "Maria è la settima volta che va in vacanza in Italia e per sei volte è stata contenta di tornare da noi". Sforza descrive un luogo tutt’altro che fatiscente, con attrezzature sportive, sala computer, murales e collage alle pareti, nessuna porta chiusa né verso l’esterno né verso le zone private, la cucina, i dormitori. La Stampa pubblica anche i disegni attribuiti a Maria. Se quelli mostrati dai suoi ospiti italiani (non genitori affidatari) mostrerebbero la bambina legata ad una sedia con bruciature alle gambe, quelli che la Stampa attribuisce alla bambina sono i disegni normali di una bambina mediamente serena. Se questo è un luogo da incubo, sono stati bravissimi a ripulire e nascondere tutto in vista di ispezioni, conclude la giornalista.
Ovviamente nessuno può escludere che Sforza sbagli o sia stata irretita da chi l’ha bene accolta e che anche una struttura in ottime condizioni possa occultare sevizie agli ospiti. Non è questo il punto. Il punto è che la coppia ligure può essere in buona fede ma può anche non esserlo. Può avere raccontato la verità ma può anche avere costruito o ingigantito una storia per forzare la mano e tenere la bambina. Ma chi può dirlo se non indagando? Ma in Italia si può ancora indagare? Soprattutto si può indagare sui buoni, i ricchi, i potenti e gli integrati?
La verità ufficiale è sempre già scritta, e come nel caso della bimba bielorussa è sempre quella più conveniente. Per tutti, per tutti quelli che contano. Si costruisce non verificando o riportando informazioni viziate e di parte, della parte italiana ovviamente. Quando un italiano delinque all’estero, in Thailandia o in Brasile per esempio, per la stampa italiana, soprattutto quella locale, è sempre vittima di un complotto di poliziotti corrotti, anche se è accusato di crimini gravissimi, come nel caso della pedofilia. Ottantamila bravi italiani -in prima fila il cattolicissimo veneto- vanno ogni anno a stuprare bambini brasiliani ma quando ne viene arrestato uno immediatamente si scatena una campagna innocentista: è vittima di un equivoco, da noi è un bravo padre di famiglia e chissenefrega se un paio di volte l’anno si diverte a stuprare negretti. Per non parlare della maniera faziosa di come vengono trattati i reati che coinvolgono immigrati, sia che commettono il crimine sia che ne siano vittime. Non si sa dove finisce il pregiudizio razzista e dove inizi la pigrizia mentale e la mancanza di professionalità.
C’è altro. Prima del viaggio dell’inviata della Stampa, i giornali e le tv italiane avevano descritto il caso nella stessa maniera di come poteva commentarlo chi scrive dal suo studio. Addirittura potevano permettersi di registrare con ironia la preoccupazione dell’ambasciatore bielorusso per le sorti della bambina. Figurati se davvero si preoccupa… Non consumano scarpe, non muovono il culo, perché non è richiesto, è uno spreco di mezzi. E perché i lettori vogliono sentirsi dire sempre le stesse cose, e vedere confermate sempre le stesse convinzioni: il papa ha sempre ragione, come si mangia da noi non si mangia da nessuna parte e italians do it better.
Ma in questo modo davvero si perde la funzione dei quotidiani, si accelera la fine della carta stampata e si fa in modo che i lettori si domandino perché mai andare con l’ombrello a comprare i giornali la mattina alle sette. Ho quattro quotidiani qui con me. Li ho sfogliati e il viaggio di Francesca Sforza in Bielorussia è pressocché l’unico articolo che non avrei potuto reperire in Internet. Dirò di più: è l’unico che non avrei potuto scrivere anche io -o chiunque altro- stando comodamente seduto nel mio studio o al desk di una redazione. Quello di Francesca Sforza è l’unico articolo che giustifica il prezzo del giornale. Complimenti.
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