Caro Andrés Manuel, a mio modesto avviso è giunta l’ora di levare le tende. La decisione del Tribunale elettorale messicano di assegnare comunque la vittoria elettorale al tuo avversario, il panista Felipe Calderón, non può non essere accettata, per quanto ingiusta sia. Lo scrivo dopo avere seguito con passione l’orgogliosa battaglia contro i brogli portata avanti da te e dal popolo messicano durante due mesi, con immenso sacrificio ed ancor più grandi buone ragioni. Ho visto come tutti la lotta contro i brogli trasformarsi in qualcos’altro di più importante, e terminare rappresentando ed esplicitando tutte le necessità sempre posposte di una società ingiusta e di una democrazia bloccata.
E’ stata una boccata d’ossigeno che ha rigenerato la storia della sinistra messicana. Ho seguito, purtroppo da lontano, Oaxaca, le prime assemblee con poche decine di migliaia di persone trasformarsi in eventi moltitudinari con milioni di uomini, donne, operai, contadini, studenti. E’ una sinistra diversa dallo zoccolo duro del PRD negli anni del riflusso ed è una sinistra indiscutibilmente, nuovamente, fortemente, di classe.
Dal mio attuale osservatorio mediterraneo non posso non notare che, per molto meno, in Serbia e in Ucraina furono mandati centinaia di inviati speciali e telecamere, totalmente empatizzanti verso la causa della parte filostatunitense, gli arancioni di PORA in Ucraina, OTPOR in Serbia. Al contrario, nel caso messicano, manifestazioni di massa con tre milioni di persone, sono state scientemente fatte passare sotto un silenzio pneumatico. Il [non] messaggio era che in Messico non succedeva nulla o al massimo che alcuni estremisti si frapponevano all’ennesima messa cantata di un neoliberismo [non più] trionfante.
Come ogni militante della causa latinoamericanista, ho molto più rispetto per te oggi di quanto non ne avessi prima del voto. E sono molto più ottimista sul ruolo del Messico nella costruzione della Patria Grande e nella liberazione dell’America dal colonialismo di quanto non lo fossi fino a pochi mesi fa. La sinistra messicana ha dato un’imponente dimostrazione di forza e di compattezza. Per molti è andata oltre ogni previsione. Ma la realtà è che, soprattutto, la sinistra messicana, ha vissuto in questi mesi un processo di accumulazione di forze senza precedenti. E’ un processo accelerato e in accelerazione, passato attraverso i brogli che sconfissero Cuauhtémoc Cárdenas, figlio di Lázaro, l’emersione dello zapatismo, ma che sei anni e ancora sei mesi e sei settimane fa, sembrava in stallo e che invece oggi è in rigogliosa, impetuosa crescita. Tale accumulazione di forze è un capitale prezioso, forse il più prezioso che eredita la sinistra messicana e continentale da questa battaglia.
Nella tua intenzione di creare un governo ombra che rifondi la Repubblica, e soprattutto nella decisione di non accettare il verdetto del Tribunale elettorale e di non riconoscere Felipe Calderón come presidente costituzionale, si paventa un’opportunità ma si cela anche un pericolo grave. Che possibilità ci sono di sovvertire ancora quel verdetto? Nessuna, è chiaro da settimane, ma adesso si può affermare con più compiutezza. Se è così è un errore strategico grave convogliare l’azione di decine di migliaia di militanti verso un obbiettivo velleitario e non riportarli ad un’azione di base che continui questo fondamentale processo di accumulazione di forze. Tanto più: è una responsabilità politica e un errore potenzialmente distruttivo esporre una nuova generazione di militanti a sei anni di repressione che si preannuncia sempre più dura.
Con Felipe il Messico è atteso da un’altro sexenio rovinoso, e il tentativo di risparmiarlo al paese è un gesto nobile, tuo e di tutta la sinistra messicana. Nobile ma all’oggi, a 65 giorni dal 2 luglio e dopo il verdetto di ieri, anche disperato. Favorire l’instabilità già endemica di una democrazia che si pretende rifondare, potrebbe essere un errore fatale. Sei anni fa, molti di quelli che credevano che il problema del Messico fosse il PRI, votarono per il PAN, piuttosto che per il PRD. Fu un errore catastrofico. Oggi molti si sono ravveduti anche se il Messico continua ad essere una democrazia bloccata e -quel che è peggio- più che durante l’epoca del PRI si trovi in un deprimente stato semicoloniale che lo separa dal continente.
Molti osservatori diretti parlano di un ambiente apertamente prerivoluzionario in Messico. Mi permetto di dubitarne e soprattutto mi permetto di dubitare che l’attuale conduzione politica del PRD -inclusa la stessa figura del candidato AMLO- possa sostenere tale processo, soprattutto -in maniera inedita nel XXI secolo- per via non elettorale o non immediatamente elettorale. Detto fuori dai denti, fin dove sei disposto a spingerti Andrés Manuel López Obrador? Fin dove sei disposto a sostenere quei giovani che si stanno radicalizzando sulla spinta della tua battaglia per sconfiggere i brogli? Il riconteggio delle schede aveva bisogno ed ha trovato la mobilitazione delle masse. Ma adesso, intorno a quale obbiettivo reale vuoi continuare questa mobilitazione? Sei cosciente che il non riconoscimento di Felipe Calderón come presidente costituzionale apre le porte ad un contesto difficile da leggere ma dove né l’ulteriore accumulazione di forze né la necessaria salvaguardia dei quadri sono garantite? Ripeto: qual’è l’obbiettivo del non riconoscimento? Provocare l’ingovernabilità, la caduta di Calderón e susseguenti nuove elezioni? E’ un obbiettivo realista?
Mi permetto, Andrés Manuel, di consigliarti di discutere con quel movimento indigeno zapatista che da sinistra aveva scelto di non appoggiare la tua campagna elettorale. Forse la loro saggezza potrebbe esserti indispensabile, qui ed ora.
Parole chiave: America Latina, Messico, elezioni 2006, brogli, Andrés Manuel López Obrador, AMLO, PRD, PAN, Felipe Calderón