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Questo federalismo non ha i numeri

31 Gennaio 2009ItaliaRedazione

Massimo Bordignon – La Voce.info

In un immaginario dialogo, un discepolo ingenuo pone al suo illuminato Maestro alcune domande all’indomani dell’approvazione in Italia di una importante legge delega. Si scopre così che il federalismo fiscale è un elettrone, che aspetta di essere osservato. E per questo, il grande sacerdote si rifiuta di dare i numeri. Mentre le vie dell’opposizione sono imperscrutabili come le stelle. Ma la grande riforma risponde perfettamente alle esigenze della comunicazione politica.

Un Maestro e il suo discepolo traversano a dorso di cammello il deserto del Gobi. Il Maestro è immerso in profonde riflessioni, il discepolo gli lancia di tanto in tanto occhiate timorose. Alla fine, raccolto tutto il suo coraggio, gli rivolge una domanda.

D. Maestro, perché il grande sacerdote Tremontius non tira fuori un numero che sia uno sul federalismo fiscale? Possibile che non si possano stimare gli effetti finanziari di una legge dopo vent’anni che se ne discute?

M. Discipule, il federalismo fiscale nella legge delega è come l’elettrone, che è potenzialmente dappertutto e la cui funzione d’onda collassa determinandone la posizione solo nel momento in cui qualcuno si decide a osservarlo. Ci sono talmente tante possibili variazioni nella legge – tributi, funzioni, strumenti di perequazione, costi e fabbisogni standard e così via – che questa può implicare tutto e il contrario di tutto in termini di distribuzione delle risorse tra centro e autonomie e tra le diverse autonomie. La legge delega collasserà, determinando una posizione precisa, solo quando il governo si deciderà a osservarla, con i decreti attuativi, fornendo un’interpretazione univoca alle dozzine di variabili in gioco.

D. Maestro, ma allora perché Tremontius non lo fa subito e usciamo da quest’assurdità in cui tutti discutono di qualcosa che non si sa cos’è e il Parlamento perfino la vota?
M. Perché nel momento in cui il governo la osserva, e la legge delega collassa in un punto preciso, si determineranno vincitori e vinti, si capirà chi ci guadagna e chi ci perde, e la tenuta della maggioranza sarà a rischio. La cosa migliore per il governo sarebbe trovare una soluzione in cui, almeno all’inizio, tutti ci guadagnano e nessuno ci perde. Dati gli equilibri politici nella maggioranza, questo vorrebbe dire una soluzione in cui si riesce a lasciare un po’ più di soldi agli enti territoriali del Nord, senza toglierli a quelli del Sud. La manovra finanziaria per il 2009 e la revisione dei fondi strutturali europei anche a questo mirava. Ma la crisi economica ha tolto fiato alla strategia, si viaggia a vista, e dunque Tremontius prende tempo e rimanda.

D.Maestro, ma allora ha fatto male l’opposizione ad astenersi?
M.Discipule, le vie della politica italiana sono più difficili da interpretare di quelle delle stelle nel cielo. Non votando contro, l’opposizione ha ottenuto di rimanere in gioco in una riforma importante. E imponendo che il primo decreto attuativo sia presentato entro un anno dalla approvazione della legge, ha costretto il governo a non rinviare la questione sine die e a mostrare le carte prima del previsto, ponendolo in potenziale difficoltà.

D. Maestro, ma al comune cittadino che gliene importa in questo momento del federalismo fiscale? Non ha problemi più seri da risolvere, tipo mettere assieme il pranzo con la cena?
M.Il federalismo fiscale, nel senso di maggior autonomia in un quadro di accresciute responsabilità, fa sicuramente bene al paese e ancor più alle parti più deboli di questo, perché implica maggiore efficienza nella spesa locale, cioè nel 60 per cento della spesa pubblica, tolte pensioni e interessi. Ma implica scelte difficili, revisioni nella distribuzione delle risorse tra centro e periferia e tra le periferie, sanzioni serie nei confronti di un ceto politico locale spesso parassitario, la perdita di potere delle burocrazie nazionali. È complicato da introdurre, anche se la nostra stessa Costituzione ce lo impone.

D. Maestro, considerate tutte queste difficoltà, invece di imbarcarsi in una mega-riforma che nessuno sa dove porta, non sarebbe stato meglio agire in modo più puntuale? Per esempio, migliorare il finanziamento della sanità, rivedere il sistema tributario locale, razionalizzare i trasferimenti erariali, dare risorse e funzioni in più solo agli enti territoriali che hanno mostrato di meritarselo?
M. Qui sei ingenuo, discipule. Lo strumento della legge delega era necessario, perché l’obiettivo dichiarato è quello di riportare gli attuali sistemi di finanziamento e perequazione degli enti territoriali a quanto previsto nella Costituzione. E questo comporta comunque scelte tecniche, non riconducibili alla legislazione normale. Ma è vero che non c’era bisogno di rimettere in discussione tutto e subito. Fissato il quadro generale, si poteva procedere per gradi. Però, l’idea della “grande riforma”, il tutto e subito, risponde molto meglio alle esigenze di spettacolarizzazione della comunicazione politica.

http://www.lavoce.info/articoli/pagina1000902.html

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Tag: Comunicazione, dialogo, FIAT, Italia, Nord, Politica italiana, sanità
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