In merito alla tragedia del piccolo Tommaso Onofri, i politici in campagna si sono scatenati nelle solite chiacchiere da bar. Si va dall’esplicita richiesta della pena di morte -il leghista Pirovano, Mussolini e sodali neofascisti- a Casini che fa una dichiarazione molto ambigua su pena di morte e cattolicità, alla richiesta di lavori forzati a vita da parte di Baccini dell’UDC.
Fa eccezione Francesco Rutelli. A Fabriano ha dichiarato: “Il governo non ha fatto, come noi avevamo proposto, delle norme più severe per chi è colpevole di reati così atroci”. E’ una dichiarazione con scarso senso -della serie, cosa possiamo fare per lanciare il sasso e nascondere la mano?- che ha offerto il fianco perfino al pessimo Castelli. Questo ha facilmente affondato: “Da un punto di vista meramente logico, la pena più severa prevista dagli ordinamenti giudiziari mondiali rispetto all’ergastolo è la pena di morte. Se ne deduce che Rutelli ci rimprovera di non averla introdotta e che evidentemente lui ne auspica l’introduzione. Ne prendiamo atto, ma ci domandiamo se Prodi sia d’accordo o meno su ciò”. Insomma, 1-0 per la squadra in camicia verde e palla al centro.
Rutelli è uomo prudente. Sulla giustizia e su molte delle sedicenti “riforme” berlusconiane, ha da sempre una posizione che considera giudiziosa: per lui non è possibile smantellarle. Secondo il candidato dell’Ulivo nelle elezioni 2001, farlo sarebbe imprudente perché il paese soffrirebbe dal liberarsi delle pessime leggi volute da Berlusconi e sodali. Ciò sarebbe vero soprattutto in materia di giustizia. Dimentica Rutelli che forse la giustizia è il territorio dove meglio si è esercitata l’idea oligarchica di società che è dietro l’intero progetto berlusconiano figlio del “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli e della P2.
Per Berlusconi “la legge NON è uguale per tutti” ed ha lavorato per cinque anni perché così fosse. Lo ha fatto sì perché ne aveva disperato bisogno, ma anche perché una giustizia a parte per gli ottimati rappresenta perfettamente la sua visione di mondo. Lo ha dimostrato mille volte, dal falso in bilancio alla Cirami.
La troppa prudenza di Rutelli dunque fa brutti scherzi. Il capo della Margherita quindi ha scelto, sul caso Alessi (condannato in primo e secondo grado per stupro, ma dopo cinque anni l’infanticida del piccolo Tommasi era ancora in libertà), una linea di attacco fallace ed omissiva. Il centro sinistra avrebbe chiesto pene più dure dell’ergastolo, il ché, essendo improponibile la pena di morte, non significa nulla. Perché non significa nulla l’attacco di Rutelli e cosa avrebbe potuto dire?
L’unica cosa che poteva e doveva dire Rutelli era denunciare cinque anni di politica tutta pro reo del governo delle destre. Ecco cosa succede -avrebbe dovuto colpire Rutelli- con un governo che criminalizza sistematicamente la magistratura. Mentre le televisioni berlusconiane, a partire dal TG2, fanno campagna attaccando vomitevolmente quei magistrati che hanno “perso tempo” ad indagare su Paolo Onofri, Rutelli fa esercizio di moderazione e non domanda a Berlusconi o a Castelli perché Alessi è fuori dal carcere. Sarebbe stata l’unica domanda consona.
Ebbene: Alessi era fuori dal carcere per lo stesso motivo per il quale sono fuori dal carcere Tanzi, Previti, dell’Utri e Berlusconi stesso.
Ecco cosa succede -non ha detto Rutelli- quando per coprire i delitti degli ottimati si tracima fino a favorire i crimini che si commettono nella suburra. “Difendendo Berlusconi, Previti e dell’Utri il governo ha permesso ad Alessi di uccidere Tommaso Onofri”, avrebbe dovuto dire Rutelli.
Ma Rutelli è un signore e non lo ha fatto. Troppo pulp a una settimana dal voto? No. Rutelli doveva parlare, dire qualcosa per fare vedere di dire qualcosa, ma senza modificare la linea di sostanziale appeasement con la visione berlusconiana di giustizia.
Il capo della Margherita ha preferito quindi omettere la verità. Non ha affondato il coltello, evitando l’insopportabile accusa di “giustizialista” come replica.
Rutelli, che finge di attaccare ma in realtà non attacca, è il simbolo di una delle più perniciose anomalie dell’Italia berlusconiana: una destra ipergarantista e una sinistra pseudogiustizialista che, lungi dall’esserlo, impegna tutta se stessa per rifuggere dall’accusa.
Entrambe le parti sono coscienti dell’eccentricità della situazione. Per rifarsi -è nella sua natura come per lo scorpione della fiaba- la destra se la prende con tossici e clandestini mentre la sinistra diventa ogni giorno più miope.
La premessa ideologica del berlusconismo, quella per la quale i crimini commessi dai ricchi non creano allarme sociale e quindi non vanno colpiti, è stata più volte smentita in questa legislatura, per esempio con il caso Tanzi/Parmalat. Il centrosinistra non è capace di offrire una sua visione di mondo. Parma per Parma, tra il crimine di Alessi e quelli di Tanzi, non è possibile fare paragoni. Ma l’allarme sociale causato dal secondo -che ha ridotto in miseria decine di migliaia di piccoli risparmiatori- non è minore. Il centrosinistra si lascia mettere in un angolo per le tasse, e si difende flebilmente. E si difende flebilmente perché non ha il coraggio di dire che un Tanzi è più pericoloso di una tassa che serve per fare cose concrete come anche dare alla giustizia la possibilità di mettere prima Alessi in galera. Questa destra è criminale. Tiene un Alessi fuori perché anche Tanzi (o Previti) restino fuori. Ha paura dei magistrati che devono prendere gli Alessi e i Tanzi più che dell’orco Alessi stesso. Ma non aspettatevi che sia Rutelli a dirvelo.