Giunto per fortuna degli Stati uniti, nostra e di tutto il mondo all’ultimo atto della sua rovinosa presidenza, George W. Bush riesce ancora una volta a non deluderci con la sua beata incoscienza, o falsa coscienza.
Lui sì che è deluso: proprio così, «deluso» dal mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa in Iraq, neanche fosse un bambino che giocava alla caccia al tesoro e non è arrivato al traguardo.
Errori? No, semplicemente qualche volta «le cose non sono andate come pianificato»; ma lui ha fatto sempre quello che gli sembrava giusto fare e tanto basta, la buona fede è quella che conta. Era in buona fede anche quando s’è inventato il campo di Guantanamo?
Certo che sì, in mala fede sono quei paesi che l’hanno contestato ma quand’è stato il momento si sono rifiutati di accollarsi qualche detenuto. Abu Ghraib? Non c’è problema, la tortura «non ha danneggiato la reputazione morale dell’America»: «la gente sa che America significa libertà», basta la parola. L’Europa, quella sì che è un problema, quella sì che ha una bassa reputazione morale: s’è permessa di dire che la guerra in Iraq era senza mandato, e si permette di sindacare sulle gerarchie mediorientali: «In certe parti d’Europa si può essere popolari addossando a Israele la responsabilità di ogni problema del Medio oriente, e si può diventare popolari partecipando al Tribunale criminale internazionale». Lui invece la popolarità facile la rifiuta: «Avrei potuto diventare più popolare accettando Kyoto. Ma sentivo che era un trattato ingiusto».
Il presidente ammette solo, bontà sua, di avere usato talvolta un linguaggio aggressivo: questione di toni; problema di carattere. Adesso promette che lascerà intera la scena a Obama e si occuperà solo di portare il caffé la mattina a Laura, e a noi non resta che da sperare che mantenga davvero la promessa.
Quanti sono i danni lasciati sul campo da otto anni di presidenza Bush?Due guerre, la riabilitazione della tortura e l’attivazione di Guantanamo, i diritti di libertà gravemente lesionati all’interno, una crisi finanziaria ed economica gravissima, la disoccupazione galoppante….fin qui siamo agli effetti misurabili. Ma quelli non misurabili? La devastazione della «reputazione morale dell’America» non sarebbe niente se non fosse accompagnata dalla devastazione del termine Occidente, diventato l’ascia di guerra per lo scontro di civiltà, del termine democrazia, diventato la bandiera delle spedizioni di conquista, del termine libertà, diventato sinonimo di mercato e imprenditorialità.
La lotta al terrorismo internazionale condotta in modo guerrafondaio e controproducente sarebbe reversibile, se non fosse che nel frattempo siamo diventati «terroristi» presunti in troppi, dai musulmani che manifestano per Hamas e a cui l’ineffabile Giovanardi, qua in Italia, vuole negare il permesso di soggiorno all’ex ministro degli esteri D’Alema che si permette di dire che con Hamas prima o poi bisognerà obtorto collo trattare se si vuole riaprire una possibilità d’esistenza alle forze arabe moderate anti-Hamas.
La paranoia securitaria sarebbe un trauma elaborabile degli Stati uniti post-11 settembre se non fosse diventata ideologia e tecnica di governo planetaria e cemento della disgregazione sociale. Non per caso è questo l’unico testimone che Bush tenta di passare a Obama: «la più grave minaccia che il nuovo presidente dovrà affrontare sarà il rischio sempre esistente di un attacco terrorista contro il territorio americano». Tradotto: lasci stare la speranza e continui a governare con la paura. Un’eredità mortifera, una tazzina di caffé avvelenata che speriamo che Obama rifiuti di bere.