A quasi 22 anni dal disastro, 75 donne superstiti della strage chimica perpetrata dalla multinazionale statunitense Union Carbide, si sono messe oggi in marcia verso Nuova Delhi dove giungeranno tra 33 giorni. Rivendicano i risarcimenti stanziati e mai ricevuti e l’impossibilita’, ancora oggi, di avere acqua decontaminata. Intanto Warren Anderson, il principale colpevole, continua a godersi la sua pensione miliardaria protetto dal governo degli Stati Uniti che continua a rifiutarne l’estradizione.
Cosa successe a Bhopal (dal sito di Greenpeace Italia)
Il 4 maggio 1969 il ministero dell’Agricoltura indiano informa con una lettera l’emissario della Union Carbide dell’intenzione di concedere la licenza per fabbricare ogni anno 5.000 tonnellate di pesticidi. “Erano già 38 i paesi in cui la Union Carbide aveva issato la sua bandiera con la losanga blu e bianca, ma l’India era stato il primo ad avere stretto con la società rapporti così buoni, forse perché, grazie alla multinazionale, centinaia di migliaia di indiani sprovvisti di corrente godevano da quasi un secolo di un bene prezioso quanto l’aria o l’acqua: le torce elettriche ?” che la Union Carbide India Limited produceva già in regime di monopolio, insieme a prodotti chimici, elettrodi industriali, vetro laminato e tanto altro, in 14 stabilimenti funzionanti in quell’immenso paese povero.
Dal 1977 al 1984 la “bella fabbrica” – lo stabilimento della Union Carbide a Bophal – produce l’Experimental Insecticide Seven Seven, l’Insetticida sperimentale sette sette, detto Sevin, un veleno dall’odore di cavolo lesso. L’obiettivo è sfornarne trentamila tonnellate l’anno. Il sevin si produce a partire dal Mic. Isocianato di metile. Una molecola talmente “irascibile” da scatenare, al solo contatto con qualche goccia d’acqua o qualche grammo di polvere metallica, reazioni di incontrollabile violenza. Sull’etichetta è scritto “Pericolo mortale in caso di inalazione”.
La notte fra il 2 e il 3 dicembre 1984, quaranta tonnellate di una miscela di gas letali fuoriescono dall’impianto di produzione di pesticidi della Union Carbide a Bhopal, in India. 20.000 morti: è il più grande disastro chimico della storia.
A venti anni di distanza gli effetti negativi sulla popolazione sono notevoli. Le falde acquifere sono fortemente contaminate e tonnellate di rifiuti tossici sono ancora abbandonati sul posto. Greenpeace è impegnata da anni a monitorare l’area, gravemente inquinata, e a chiedere che la Dow Chemicals – dal 1999 proprietaria della Union Carbide – bonifichi a sue spese il sito industriale, assicuri l’assistenza medica e la riabilitazione ai sopravvissuti e fornisca acqua potabile alle comunità residenti.
Che fine a fatto Warren Anderson, il principale colpevole (ne scrissi qui)
La Union Carbide ha finora pagato un’indennizazione di appena 470 milioni di dollari, il 10% di quanto stabilito inizialmente. Solo nel novembre 2004, oltre 20 anni dopo la tragedia alcune vittime sono state indennizzate, 300 dollari a testa. Il governo degli Stati Uniti da vent’anni rifiuta di concedere l’estradizione del principale responsabile della catastrofe, il capo della “Union Carbide India” Warren Anderson. Vive libero negli Stati Uniti godendosi la sua pensione milionaria. Nel 1984 scappò dall’India pagando una cauzione di appena 500 dollari.