Ha causato un po’ di scandalo in Toscana, e remotissima eco nel resto del paese, la morte di Marcos García Martiniano, un disabile di origine brasiliana di 28 anni ritrovato cadavere nelle campagne di Certaldo. Marcos viveva da anni con gli zii a Lastra a Signa.
Sabato scorso, come tutti i giorni, era stato affidato ai volontari della Misericordia che lo avevano lasciato sulla porta del centro diurno di Scandicci dove passava le giornate. I volontari non hanno verificato che il centro quella mattina fosse chiuso e sono ripartiti lasciandosi alle spalle il ragazzo.
A quel punto è cominciata un’evitabile odissea che ha portato Marcos alla morte. Lasciato solo a se stesso, si è allontanato, si è perso, ha cominciato a girovagare, forse per giorni, fino a che non è sopraggiunta la morte. “Per il freddo e la paura” dicono, in attesa dell’autopsia.
Nel frattempo in molti cercavano Marcos e in molti lo hanno avvistato, ma nessun samaritano si è fermato a domandargli se aveva bisogno di aiuto. Del resto, chi si ferma a chiedere come sta ad un immigrato sconosciuto? Lunedì ne ha parlato “Chi l’ha visto” e, come ha verificato chi scrive, ancora venerdì, poche ore prima del ritrovamento del corpo, sia l’ospedale di Careggi sia altre zone nelle immediate vicinanze di Firenze erano tappezzate dal suo viso sorridente e ingenuamente fiducioso.
Oggi i volontari della Misericordia sono indagati per “abbandono di disabile con procurata morte dello stesso”. Se si dovesse arrivare a un processo rischierebbero pene gravi, forse troppo gravi per un caso dove appaiono sommarsi negligenze, disattenzioni, fretta, casualità e mera sfortuna, piuttosto che vera irresponsabilità.
Vi convince la parte in corsivo dell’ultimo paragrafo?
Disattenzione, fatalità e sfortuna piuttosto che irresponsabilità. Ma così si concludono anche il 99% delle inchieste per le morti sul lavoro e per gli incidenti stradali. Ieri un avvocato casertano ubriaco fradicio e strafatto di droga ha assassinato un immigrato senegalese investendolo con la sua macchina.
La giustificazione che ha dato l’avvocato ci rivela tutto il nostro mondo: “avevamo vinto una causa importante e dovevamo festeggiare”.
Dite che pagherà? Dite che capirà che non è stato solo sfortunato? In questo paese esiste oramai una rivendicazione del diritto all’irresponsabilità, alla negligenza, al raffazzonare le cose perché di meglio non si può fare e nel quale ovviamente l’unica salvezza possibile è personale: la speranza che la cattiva sorte tocchi sempre a qualcun altro, che in genere è un disabile, un lavoratore non specializzato, un immigrato, un giovane, un precario.
E allora ecco che l’inaccuratezza, l’imprecisione, l’inadeguatezza (ad assicurarsi delle sorti di un disabile come a garantire la sicurezza di terzi sul lavoro e non, oppure a guidare un’automobile) stanno diventando uno dei problemi sui quali si sta avvitando la nostra società. Per fare bene le cose ci vuole attenzione, preparazione, tempo e soprattutto rispetto per la vita degli altri, quanto suoni stantio un discorso del genere. Ma il modello impone flessibilità, sapersi arrangiare, e soprattutto far presto. Perfino nel volontariato dove si suppone che nessuno ti obblighi. E impone controlli, investimenti, coscienza. Viviamo in una società che dibatte sul fatto che la vita della povera Eluana Englaro sia comunque degna di essere vissuta e che vigila sulla dignità della (presunta) vita di ogni singola cellula staminale. Ma a Marcos chi ci pensa?