E’ stata una progressione di “preghiere” da parte delle principali capitali mondiale che ha portato alla scelta senza precedenti del presidente uscente americano George W. Bush di convocare il 15 novembre a Washington un incontro straordinario dei venti Paesi più ricchi o influenti al mondo per discutere il da farsi al fine di arrestare la crisi finanziaria e la conseguente recessione economica e per prevenire nuove crisi finanziarie sistemiche. Il formato adottato, è evidente, va così ben oltre quello del solito G8.
Singolare che sia Bush a chiamare a raduno i leader mondiali, visto che la presidenza attuale del G8 è ancora giapponese, e quella del G20 dei ministri delle finanze è brasiliana. Quasi che gli Usa, con il Regno Unito principali responsabili del disastro che stiamo vivendo, cerchino di affermare un’ipotetica leadership anche nella ricerca delle soluzioni. Ancora più ipocrita che l’invito sia esteso al Fmi e alla Banca mondiale, fino ad oggi fautori delle liberalizzazioni finanziarie e del mercato dei capitali. In pratica si domanda alle stesse istituzioni finanziarie internazionali come vogliono essere riformate.
L’Onu cerca di resistere al solito svuotamento del suo mandato, tenendo a fine ottobre un incontro speciale dell’assemblea generale sullo stesso tema e sotto la guida di una Task Force coordinata dall’”eterodosso” Jo Stiglitz. Nonché lotta per preservare ancora l’importanza della prossima conferenza di Doha su finanza per lo sviluppo, prevista a fine novembre. Probabilmente un ennesimo fallimento, che però potrebbe essere politicizzato da quei paesi del Sud che vedono nel G20 di Washington promosso da Bush un tentativo di far rinascere un nuovo “Consenso di Washington”, ma con i vizi del passato.
Non si può tornare indietro, il mondo è cambiato anche se tanti paesi con la crisi che avanza sono tornati a richiedere i soldi del Fmi, secondo un cliché già visto. Forse ha ragione il “Berlusconi globale” quando nel suo delirio transfrontaliero invita ad andare ben oltre non solo il solito bistrattato Onu, ma anche la Banca mondiale e l’Fmi. Peccato che l’Italia e Tremonti continuino a finanziare queste istituzioni sebbene siano “pletoriche e burocratiche”.
Il “superG” ambito dal Premier nostrano – un ipotetico raggruppamento dei 15-16 paesi più ricchi al mondo, come cabina di regia della globalizzazione – rimane in alto mare e forse sarà solo il formato della crociera del G8 dalla Maddalena a Napoli nel luglio 2009. Per il momento rimane da navigare attraverso la burrasca di una crisi finanziaria che potrebbe finalmente spazzare via le vecchie forme di governance globale poco democratiche e di parte, nonché sbloccare la stessa impasse dell’Unione Europea.
Da vedere se però questa volta, a differenza di Bretton Woods nel 1944, oltre alla stabilità finanziaria si parlerà anche di democrazia ed equità globale. Parole ancora sconosciute a Bush e a gran parte degli invitati. Dal vertice uscirà poco più che una dichiarazione di principi, a cui magari i mercati finanziari non crederanno neppure, ben lungi da un nuovo “Consenso di Washington”, perché il mondo ha bisogno e merita qualcosa di veramente nuovo e innovativo.