ULTIMORA: le mobilitazioni degli antifascisti veronesi hanno trionfato. Domattina il vescovo Laise, complice della dittatura, non farà le cresime. La lettura dell’articolo che segue è comunque istruttiva.
Arriva a Verona il vescovo amico dei dittatori argentini. Domenica alle 10,30, nella chiesa di Santa Toscana, il cappuccino Juan Rodolfo Laise (al centro nella foto tratta da un sito falangista spagnolo), vescovo emerito di San Luis, celebrerà una messa in rito romano antico in onore del beato Carlo d’Asburgo, ultimo imperatore d’Austria e re del Lombardo-Veneto.
articolo tratto da L’Arena di Verona
Su incarico del vescovo Giuseppe Zenti, il prelato, che vive in Italia, amministrerà le cresime. Al termine della celebrazione promossa dall’associazione di tradizionalisti cattolici Una Voce, un coro eseguirà l’inno imperiale e alcuni figuranti spareranno salve di fucileria in onore del re che fu elevato agli onori degli altari il 3 ottobre 2004.
Ma contro la visita di monsignor Laise in riva all’Adige si leva già la protesta di chi porta ancora nel corpo e nell’anima le ferite degli aguzzini agli ordini della Giunta militare capeggiata dal generale Videla. Come Luis Allega, ex prigioniero nel famigerato campo di detenzione e tortura «Garage Olimpo» di Buenos Aires e per anni referente in Italia delle Madres de Plaza de Mayo.
Ma chi è monsignor Laise? Emilio Mignone, docente universitario, dirigente nazionale dell’Azione cattolica argentina, la cui figlia Monica sparì nel nulla a 24 anni dopo essere stata rapita da una squadraccia, nel libro «Chiesa e dittatura in Argentina» – pubblicato in Italia dall’Editrice missionaria – lo descrive come «una delle mentalità più cavernicole di tutto l’episcopato». Il suo nome appare in una lista di 25 vescovi ritenuti complici della feroce dittatura argentina resa pubblica dalle associazioni per i diritti umani del paese sudamericano, tra i quali le Madri di Plaza de Mayo, l’Associazione di ex detenuti e desaparecidos, le Nonne di Plaza de Mayo, i Familiari dei desaparecidos, l’associazione Hijos formata dai figli delle vittime della repressione, il Movimento ecumenico per i diritti umani e il Servizio pace e giustizia del premio Nobel Adolfo Perez Esquivel.
Il vescovo cappuccino ha fama di ultraconservatore, legato agli ambienti di Tradizione, famiglia e proprietà, nemici giurati della Chiesa latinoamericana che sta dalla parte dei poveri. Nella sua diocesi giunse a proibire a tutti i sacerdoti di dare la comunione in mano ai fedeli. Ma l’aspetto più inquietante fu la sua aperta simpatia per la dittatura responsabile della sparizione di trentamila persone, ai quali vanno aggiunti i 15mila ammazzati in strada, i novemila detenuti politici e il milione e mezzo di esiliati. Il 23 dicembre 2007, il terzo quotidiano argentino, Pagina/12, pubblicava un articolo intitolato «L’incredibile caso di monsignor Laise, il vescovo che chiese di far sparire un prete». Scrive Diego Martinez: «Nel 1976 Laise chiese al massimo responsabile militare della provincia di sequestrare un sacerdote che aveva lasciato l’abito talare per sposarsi». L’articolo cita la deposizione davanti al giudice del colonnello Miguel Angel Fernandez Gez, di 81 anni, attualmente agli arresti domiciliari perché coinvolto in casi di violazione dei diritti umani. E quando le madri degli scomparsi o dei detenuti politici di San Luis cominciarono a bussare alle porte della Curia, Laise fece mettere un cartello con la scritta «Non si ricevono familiari di sovversivi». Lilian Videla, vicepresidente dell’Assemblea permanente per i diritti umani, afferma che «Il vescovado riceveva le lettere dei prigionieri e valutava se consegnarli o meno alle famiglie. Davanti al minimo contenuto politico le tratteneva e ordinava ai carcerieri di richiamare all’ordine il detenuto». E aggiunge il giornalista di Pagina/12: «Le sue visite al generale Luciano Benjamin Menéndez, padrone della vita e della morte in tutto il nord dell’Argentina erano abituali».
Monsignor Laise fu vescovo di San Luis per 30 anni, fino al 2001. «Ma se il giudice federale Juan Esteban Maqueda», scrive Pagina/12, «volesse citarlo in giudizio, dovrebbe recarsi in Italia, al santuario di San Giovanni Rotondo».
Anche dopo la disastrosa avventura militare nelle Malvinas, mentre la dittatura si stava disfacendo, il vescovo cappuccino scriveva: «L’autorità e i diritti del potere vengono da Dio e non dal popolo o dal consenso delle maggioranze».
L’ultima volta che fece parlare di sé fu a metà novembre del 2004, allorché alcune sue foto apparvero in un sito web spagnolo di estrema destra, mescolate a immagini di giovanotti con il braccio teso. Il suo avvocato, Marcelo Shortrede si limitò a dire che «sì, è evidentemente un sito filo-nazi, a giudicare dalle braccia tese… ma sono sicuro che monsignore non sa che alcune sue foto sono finite su questa pagina».
Quando, nel 1970 fece il suo ingresso in diocesi, Laise si distinse per alcuni atteggiamenti perlomeno stravaganti. Ricorda il giornalista Gustavo Heredia: «Mise guardie agli edifici ecclesiastici, perfino il suo segretario personale viene r icordato con una pistola calibro 45 alla cintura. E minacciò di scomunica i redattori del giornale La Opinion per aver pubblicato una lettera che criticava un suo sermone».