In pochi giorni è passato dall’essere favoritissimo all’essere ad un passo dal KO.
E’ John McCain, il 72enne candidato del partito repubblicano statunitense, affondato dalla dimensione storica del fallimento totale del bushismo dal quale può differenziarsi solo a parole.
Stanotte McCain affonta l’ultimo dibattito contro Barack Obama. Deve rimontare un distacco che qualche sondaggio vede già in doppia cifra. Lo deve fare in trasferta, parlando di risposte da dare alla crisi economica e non di truppe da spostare e nemici da bombardare.
Quasi mai i dibattiti politici tra candidati decidono le campagne elettorali (spostano l’uno percento secondo Tom Holbrook, professore di Scienze Politiche all’Università del Wisconsin) eppure rappresentano grandi eventi comunicativi che concentrano tutti i guasti della politica spettacolo, della personalizzazione della politica all’epoca del pensiero unico, della politica immagine e non idee. Spettacolini dove conta di più come si tengono le mani o se si è bravi a guardare la telecamera che le cose che si dicono.
Nell’ultimo anno o poco più in Europa abbiamo avuto epiche ma per nulla decisive sfide tra Nicolas Sarkozy e Ségolène Royal e tra José Luís Rodríguez Zapatero e Mariano Rajoy. Siamo stati privati di quella tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni. Il televenditore non ne aveva bisogno e se ne è sottratto senza eleganza né etichetta. Ma chissà, almeno per averci risparmiato il dibattito dovremmo ringraziarlo.