Nessuna sorpresa nel primo turno delle presidenziali cilene. Michelle Bachelet, (nella foto, da pronunciare per favore Micelle Bacelet e non alla francese) candidata della Concertazione che governerà il Cile da qui all’eternità, ha stravinto.
Ha stravinto anche se andrà al ballottaggio tra quattro settimane contro il berluschino Sebastián Piñera, padrone di mezzo paese. Questo ha eliminato per un pugno di voti il figlioccio di Augusto Pinochet Joaquín Lavín. Bachelet ha avuto il 46% dei voti, Piñera il 25%, Lavín il 23%.
Meno buono delle attese il risultato dell’unico candidato della sinistra, l’umanista Tomás Hirsch (nella foto), che supera a stento il 5%. Ristretto dal voto utile per la Bachelet e da una costituzione illiberale che gli impedirà anche di essere deputato (il sistema elettorale pinochettista mai modificato dalla Concertazione proibisce di fatto l’ingresso della sinistra in parlamento), Tomás Hirsch non ha sfondato. Mai come oggi, alla sinistra cilena, manca la figura alta di un’altra donna, Gladys Marín, scomparsa lo scorso anno dopo una vita di lotta. Va tuttavia ricordato che comunque Tomás ottiene quasi il doppio dei voti ottenuti da Gladys che nel ’99 si fermò al 3,2%. E’ un buon segno. Boicottata dai media, che continuano a magnificare il modello, e con classi popolare scoraggiate e perfino ancora impaurite, la battaglia contro il neoliberismo si fa strada, anche se lentamente, anche nel paese australe.
Vinca chi vinca in gennaio, comunque in Cile non cambierà nulla. Nel 1989 il dittatore Augusto Pinochet consegnò il potere alla Concertazione (la coalizione tra i socialisti più riformati del mondo e la Democrazia Cristiana più moderata del pianeta) a patto che lui non fosse toccato e il modello di società verticale, neocoloniale ed ultraliberale si perpetuasse.
Per chi, come chi scrive, viveva a Santiago quando Pinochet fu arrestato a Londra per i suoi crimini, è ancora palpabile la sensazione di fastidio e preoccupazione con la quale quel governo di centrosinistra (nel parlamento del quale sedevano torturati, prigionieri politici, esiliati) accolsero quell’arresto. Il paziente inglese andava riportato a casa con meno rumore possibile. Quella della giustizia era un’ingerenza non gradita per i politici di centrosinistra che consideravano intoccabile il vecchio macellaio. Ma la giustizia, anche la cilena, andò comunque avanti. Oggi Pinochet sembra fuori moda in Cile anche se comunque riuscirà immeritatamente a morire nel suo letto.
Ma se Pinochet è passato di moda, quello che non passa di moda è il testamento economico di Pinochet e dei suoi Chicago Boys (gli economisti ultraliberali che cancellarono meticolosamente ogni traccia di giustizia sociale nel paese). E Michelle Bachelet, dopo Patricio Aylwin (1990-1994), Ricardo Frei (1994-2000) e Don Ricardo Lagos, sarà la fedele esecutrice di quel mandato e in economia non cambierà nulla. Non ci sarà nessuna redistribuzione (socialdemocratica) in uno dei paesi dove le entrate sono più ingiustamente distribuite al mondo e dove il 10% della popolazione, dai villoni belli o volgari di Las Condes e Vitacura si spartisce la metà della ricchezza del paese. Non ci sarà neanche attenzione a quello che si muove nel resto del continente, soprattutto nel Mercosur dove entra il Venezuela ma non il Cile ed in questo c’è il tradimento chiaro dell’interesse nazionale del paese.
Oggi in Cile molta gente sta molto bene. E’ facilissimo star bene e guadagnare molti soldi se si hanno i natali giusti in Cile. Ma se non si hanno i natali giusti non c’è speranza. Non ci sono più scuole pubbliche decenti in Cile. Non c’è più salute non privata, né pensioni dignitose per chi non ha potuto affidarsi alla previdenza privata. Non c’è possibilità di ascensione verticale di nessun tipo nel paese. L’Università è un investimento impossibile per la maggioranza dei giovani cileni. In Cile o guadagni più di 2000 dollari al mese o difficilmente riuscirai ad arrivare a 500. In mezzo c’è il vuoto.
Michelle Bachelet è una brillante e brava politica che si considera progressista ma che -al di là delle drammatiche esperienze personali in dittatura- vive ed ha vissuto all’interno della classe dirigente più chiusa del pianeta. Signore borghesi, anche squallidamente piccolo borghesi, in Cile hanno alle loro dipendenze schiere di domestiche a tempo pieno alle quali danno uno stipendio equivalente a quanto spendono in sigarette.
Più cresce l’economia cilena, più cresce la disuguaglianza. E più cresce la disuguaglianza più si racconta la favola che la crescita dell’economia favorirebbe la generalizzazione del benessere. Quindici anni di centrosinistra in Cile testimoniano che è vero il contrario. Se ci sono opportunità di arricchimento rapido è perché ci sono possibilità di sfruttamento generalizzato.
Oggi il Cile, al contrario di quello che si sostiene in ambienti neoliberali, ha un’economia sempre meno evoluta. Esporta rame grezzo invece che lavorato. Esporta più uva e meno vino. Per ogni punto percentuale di export verso gli Stati Uniti diminuisce in maniera equivalente il proprio export verso la regione. Il paese australe è sempre meno parte del sistema economico latinoamericano e sempre più un fornitore degli Stati Uniti dai quali dipende economicamente e politicamente e del quale ne riproduce pedissequamente il modello sociale.
Michelle Bachelet non vuole e non può modificare minimamente il modello neoliberale.
Il ballottaggio del prossimo 15 gennaio non riserverà sorprese e Bachelet vincerà. Sarà da celebrare il fatto che una donna abbia evitato tutti gli sgambetti a lei sottesi in un paese dove la classe dirigente, anche quella della Concertazione, continua ad essere innanzitutto reazionaria. Vincerà, ma poi non succederà più nulla di nuovo.
Dei sei anni di Don Ricardo Lagos, anch’egli celebrato con commozione dall’Internazionale Socialista, si ricordano solo due cose. Una di sinistra ed una di destra. Quella di sinistra è l’introduzione del divorzio (sic!) in un paese dove quest’istituto era largamente amministrato per i ricchi dalla Sacra Rota (le sole pie figlie di Pinochet sommano insieme sei annullamenti).
Quella di destra è stato il Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti al quale Lagos ha lavorato per tutta la legislatura per poi essere umiliato da George Bush. Don Ricardo voleva una “photo opportunity” alla Casa Bianca. Fu uno schiaffo: l’impero scelse di far firmare il trattato non alla Casa Bianca ma a Miami, nell’ala della servitù. Bush non si scomodò neanche e mandò a firmare solo il sottosegretario al commercio Zoellick. Lagos incassò con eleganza e dovette rinunciare e mandare in sua vece la signora Alvear, ministro degli Esteri. Ma poi rimase intrappolato nella logica di un TLC che oggi impedisce al Cile di far prosperare la propria economia nella regione e istituzionalizza il suo destino di fornitore di prodotti a basso valore aggiunto dell’impero a cominciare dal rame che ogni volta esce dal paese sempre più grezzo, frustrando così due secoli di tradizione dell’eccellente ingegneria mineraria cilena.
Bachelet governerà l’esistente da qui fino al 2012. Ha un’immagine straordinariamente al passo con i tempi e da qui -lo scriviamo da un anno- nasce una sorta di Bachelet-mania che contagerà tutti i centrosinistra europei. Ma Michelle, bella, brava, con una storia di sinistra, è in realtà una squatter. Un’abusiva del termine sinistra perché in Cile mai come adesso c’è bisogno di un cambio a sinistra ma -essendo la sinistra la Concertazione- il cambio è impossibile.
Bachelet dunque governerà l’esistente in un paese dove l’esercito ha ancora troppo potere e con il PIL destinato alla difesa doppio o triplo dei più alti della regione. In molti temiamo che quell’esercito ipertrofico e modernissimo, la prossima volta non sarà utilizzato contro il popolo cileno, come successe l’11 settembre del 1973, ma contro una regione sempre più in ebollizione e che sta scegliendo un cammino di sviluppo opposto a quello cileno.
Se il 18 dicembre l’indigeno Evo Morales sarà presidente in Bolivia, il vecchio palazzo della Moneda sarà presto testimone di un piccolo scandalo. La nostra bella signora borghese, sarà costretta a ricevere un uomo dalle fattezze umili, in tutto simili al marito di una delle sue domestiche di quelli che ogni tanto, in cambio di una mancia, va a casa della signora a fare qualche lavoretto di fatica per poi tornare a Renga o in un altro quartiere popolare di Santiago a bordo di un autobus giallo tossicoso. Sarà un avvenimento, ma chi può cambiare il mondo è l’uomo povero boliviano, non la ricca signora cilena.