Lo “sporco ladro”, il “lurido negro”, l’intruso nel sabato notte dei milanesi, stavolta è risultato essere concittadino dei suoi assassini. Un italiano di nome Abdul William Guibre. Esattamente com’è italiano il suo coetaneo Mario Balotelli –pelle scura e accento bresciano- che poche ore prima indossava la maglia nerazzurra sul prato di San Siro.
Adesso è prevedibile che il pestaggio mortale, suggellato dalle grida razziste degli aggressori, rinfocoli sentimenti popolari di segno opposto. Il nostro turbamento per la penetrazione dell’odio xenofobo come malattia sociale contagiosa. E viceversa il malumore diffuso di chi ci accuserà: ecco, trasformate un balordo in martire pur di ignorare che le “vere vittime” sono i cittadini minacciati da una criminalità ben riconoscibile nella sua connotazione etnica.
La corrente di pensiero delle “vere vittime” riunisce difatti quei vasti settori popolari che traggono sollievo da un governo italiano per la prima volta dedito a nominare i colpevoli, non come singoli individui, ma come categorie da eliminare. Il povero “Abba” Guibre, con la sua cittadinanza tricolore, incarna una variabile non prevista dal senso comune dominante. Ma ugualmente il vittimismo deprecherà l’attenzione eccessiva concessa a un episodio che, senza quelle grida razziste, chissà, forse sarebbe rimasto in cronaca locale.
Ora ha poco senso disquisire se l’esasperazione dei baristi che hanno subito il furto si sarebbe scaricata tale e quale, a colpi di spranga, pure su ladruncoli d’aspetto diverso. Mi auguro invece che i responsabili politici riconoscano in quella esasperazione –troppo spesso cavalcata e legittimata- motivo di riflessione e allarme. Ogni giorno veniamo a conoscenza di episodi di violenza spicciola che si verificano nei cantieri del lavoro irregolare, sulle strade dell’accattonaggio e della piccola delinquenza, perfino nel fastidio per la religiosità altrui. Queste tensioni sempre più frequenti, come già accaduto in altri paesi, potrebbero degenerare in conflitti metropolitani a sfondo etnico. L’Italia sta raggiungendo, del tutto impreparata, il livello di guardia. Se è vero infatti che la giustificazione della furia popolare può offrire nell’immediato vantaggi politici, ne conseguiranno inevitabilmente lacerazioni del tessuto sociale, problemi di ordine pubblico, degrado civile.
Nessuno strumentalizzi il linciaggio della Stazione Centrale, dunque. Ma, per favore, gli imprenditori politici dell’allarme-stranieri valutino il rischio di trasformarsi in apprendisti stregoni.
Solo ieri il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, se la cavava con una generica invettiva (“è una vergogna”) di fronte al fermo in via dei Missaglia di un marocchino già 34 volte arrestato e due volte rimpatriato. Mica è facile impedire il ritorno degli indesiderati… Eppure De Corato non smette di annunciare l’espulsione degli abitanti di altri dieci campi rom della periferia, come se gli ottanta sgomberi già effettuati avessero alleviato il senso d’insicurezza dei cittadini. Con chi se la prenderà quando sarà evidente l’inefficacia delle sue minacce? Con i magistrati, con le forze di polizia, con l’esercito?
Così sta accadendo un po’ dappertutto: vengono suscitate aspettative che, una volta deluse, incrementano un surplus di rancore o, peggio, degenerano in giustificazionismo della vendetta “fai da te”.
Mi auguro che il nostro concittadino “Abba” Guibre, nuovo italiano come ce ne sono tanti, sia pure ladro di biscotti, sprangato a morte in una notte di fine estate, venga onorato nelle sue esequie dalla presenza del sindaco di tutti i milanesi, Letizia Moratti, che riempirebbe così di significato le sue nette parole di condanna. Perché sia chiaro che la Milano dell’Expo 2015 diventerà metropoli europea solo facendo sentire a casa loro, non ospiti provvisori e indesiderati, pure i suoi abitanti più recenti di nome Abdul.