Fa rivoltare il sangue la pretesa del Ministro della Difesa nordamericano, Donald Rumsfeld di rispetto della Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra statunitensi nelle mani dell’esercito iracheno.
La pretesa di Rumsfeld è rivoltante anche e soprattutto perché sul merito ha ragione. E’ infatti assolutamente auspicabile che quei poveri sottoproletari in divisa da marines, ottengano un trattamento umano. Ma il pulpito di Rumsfeld è quello di chi, in prima persona, teorizza e difende ben peggiori violazioni quando a perpetrarle sono quegli stessi soldati che oggi lui difende.
Rumsfeld si scandalizza per il fatto che i volti dei prigionieri di guerra statunitensi vengano mostrati dalla dittatura irachena. Ed infatti pretende ed ottiene una censura “dolce” da parte delle televisioni nordamericane. Non risulta però che si sia scandalizzato per altre immagini che hanno fatto il giro del mondo in questa prima settimana di guerra.
Mi riferisco alle foto di ufficiali iracheni, prigionieri di guerra, inginocchiati, con le mani ammanettate dietro le spalle ed il fucile di un marine puntato alla tempia. Per giorni il Minculpop di Doha – dove centinaia di giornalisti si dedicano alla riproduzione delle veline del generale Franks – ha utilizzato le immagini dei prigionieri di guerra iracheni, per gli stessi fini, grossolani e condannabili, per i quali il dittatore iracheno ha utilizzato le immagini dei propri prigionieri di guerra.
Non sorprende che il Ministro della Difesa di George W. Bush, sia uomo rude, e incapace di equanimità. Fu lui stesso a rivendicare la non applicazione della Convenzione di Ginevra ai combattenti afgani caduti in mani statunitensi nella penultima guerra. Rumsfeld stesso ha permesso ed insabbiato massacri di prigionieri di guerra afgani inermi, per esempio nella Fortezza di Mazar i Sharif, da dove la Croce Rossa internazionale rimosse almeno 175 cadaveri, quasi tutti ammanettati mani e piedi.
Rumsfeld stesso ha poi voluto e difeso quel campo di concentramento a cielo aperto che è Guantanamo, regione cubana occupata illegalmente dagli Stati Uniti, più volte condannati per questo dalle Nazioni Unite. I prigionieri di guerra afgani lì deportati, ricevono da oltre un anno trattamenti denigranti assimilabili alla tortura. Non risulta che nessuno di essi sia stato giudicato o condannato per crimini legati alla partecipazione al governo talebano o ad Al-Qaeda. Vivono per tanto tuttora come sequestrati da parte dell’Esercito degli Stati Uniti.
Guantanamo come campo di concentramento – giova ricordarlo – significa due cose. Gli Stati Uniti rivendicano, utilizzando proprio quel luogo, il non rispetto – proprio – delle convenzioni internazionali e delle risoluzioni delle Nazioni Unite che li riguardano. Non è una novità nel momento in cui Onu e Nato vanno in pensione, vittime dell’unilateralismo della dottrina Bush. Ma allo stesso tempo, proprio con Guantanamo, lanciano un monito al continente ribelle, senza fare alcuna differenza tra Fidel Castro, Lula da Silva e Hugo Chávez. E’ quello che il Washington Times, ispirato da Rumsfeld stesso, definisce il “nuovo asse del male” e probabilmente il prossimo obbiettivo strategico statunitense, una volta “pacificato” il Medio Oriente.
Ma un dettaglio, per chi ha memoria, rende particolarmente ripugnante il fatto che Donald Rumsfeld faccia appello alla Convenzione di Ginevra. Il falco per eccellenza del governo statunitense, parla un 24 marzo. E’ lo stesso giorno nel quale, 27 anni fa, nel 1976, il governo degli Stati Uniti, organizzò, appoggio, e coprì, con il golpe militare argentino, una delle più sistematiche violazioni di diritti umani che la storia ricordi. Le tecniche di tortura e di sterminio erano state apprese dai militari argentini e sudamericani, nelle aule della Scuola delle Americhe, a Fort Benning, in Georgia: l’Università delle violazioni dei diritti umani.