Una delle cifre dell’attuale governo, ma non solo di questo, è la rivendicazione del debito pubblico come panacea dei mali del paese. Indebitarsi è bello, per qualcuno indebitarsi sarebbe di sinistra (redistribuire è di sinistra!), per altri invece indebitarsi sarebbe di destra, perché la perfida Europa – impedendoci di indebitarci – vuole frenare il ritorno della grandezza di Roma sui colli fatali. Dopo trent’anni di tagli della spesa pubblica la tentazione di far diversamente verrebbe spendendo di più nei servizi pubblici fondamentali (educazione e salute) ma così i governi farebbe solo andar meglio le cose, senza ricevere nulla in cambio. Al di là di ciò, sul debito pubblico si può delineare un’intera antropologia politica.
I politici italiani, Matteo Salvini e Luigi Di Maio oggi, ma anche Matteo Renzi e indietro fino a Ugo La Malfa ieri, non considerano la spesa pubblica come un debito da ripagare, a condizioni più o meno onerose e convenienti, ma una sorta di paghetta che un generoso parente (non il nonno, semmai il nipote) elargisce loro per comprare caramelle per le proprie clientele.
Quindi la battaglia politica è innanzitutto per ottenere il diritto ad indebitarsi di più, vincendo le resistenze di accigliati economisti, che forse è vero che non abbia eletto nessuno, ma hanno competenze affatto malferme, come invece capita sempre più spesso agli eletti del popolo. Questi ambiscono a spendere denari che non si hanno, millantando crescite improbabili che nessun analista prevede ed eludendo i nodi reali di una crisi di lungo periodo, sempre quelli, crimine organizzato, corruzione, evasione. Razionalizzare la spesa, rendendo il fisco più progressivo – far pagare moltissimo alle rendite e ai ricchi – è ormai un tabù. Così si fanno sovranisti contro l’Europa, rea di far rispettare i patti senza i quali gli enormi vantaggi della costruzione comune crollerebbero. Lontani dal mettere in discussione il modello economico vigente (Salvini è più ortodosso di Monti) sbraitano, come nella polemica pietosa sulla Francia raccomandata, che può spendere mentre noi no, negando l’evidenza e facendola negare al loro circo mediatico, e infine festeggiano il debito dal balcone, come fanno i 5S, secondo il noto adagio: “domani penso ai debiti, stasera sono un re”.
Ma c’è di più: la peculiarità italiana, la drammatica peculiarità italiana, è che i clienti di Salvini o Di Maio, per i quali è utile indebitarsi per restare al potere, quota 100, pensioni di cittadinanza e dintorni, sono sempre più solo i baby boomers, nonni senza nipoti o peggio, convinti che il benessere presente e futuro dei loro nipoti non passi dall’innovazione e dal controllo dell’enorme debito del quale chi ha preso il miglior slot della storia ha (chi più, chi meno) beneficiato, ma passi dall’intangibilità delle loro sicurezze. La migliore garanzia per un under trenta oggi è avere un nonno solvente. E il nonno solvente giustifica i suoi intangibili diritti acquisiti, e quelli che ancora acquisirà, con la necessità di aiutare nipoti senza diritti.
Certo, l’evanescenza del messaggio giovanil-liberista del passato governo era indifferente agli esclusi dalla crisi, ma è evidente che se c’è ancora un settore sociale al quale la politica guarda perché il consenso di questo porta al controllo del centro della scacchiera, sono gli over cinquanta, ricchi e poveri, al Nord come al Sud.
Intanto i pochi nipoti, da bambini contesi da troppi adulti e da adulti destinati a una minorità permanente, working poors al quale meno male che zia possa pagare l’affitto, pagano due volte, nell’inadeguatezza di politiche pubbliche oggi e nel debito domani; e infatti emigrano.