Non illudetevi che sia ferito a morte. Non convincetevi che le condanne (vere) e le scissioni (presunte) lo indeboliscano. Non deve più andare ai vertici alla Casa Bianca o ai G20 dove sa di essere un paria, deve solo portare a casa la pelle. Proviamo a vedere pezzo per pezzo le ragioni della costruzione plurale della nuova destra italiana.
È un’idra dalle molte teste questa destra plurima e plurale che nasce oggi con la scissione (di testa più che di cuore, opportunista più che sostanziale, di fatto concordata) che fa rinascere una Forza Italia che non ha neanche bisogno di essere 2.0 perché non ha alcun bisogno di idee per il futuro. Silvio Berlusconi non vuole e non deve governare un paese che ha dimostrato di saper conquistare elettoralmente ma non saper governare. Sa solo, deve solo, questa destra, giocare le sue tuttora molte carte per mantenere l’Italia in questa prolungata indefinizione e ingovernabilità, giocando al gatto col topo con l’unico partito nazionale organizzato che resta il Partito democratico. Questo, trasformatosi, non solo nelle rappresentazioni mediatiche ma anche nella mente dei propri quadri, nel partito dell’establishment, della governabilità e dei poteri forti, è sempre più lontano dal rappresentare il paese reale che pure spesso lo vota. Presta il fianco alle destre e non si cura di farsi bersaglio della rabbia di tanti. Stanno lì convinti alcuni che basti un Renzi, convinti altri che il corpaccione di una classe dirigente di travet imbolsiti e grigi se non odiati, possa far quadrato e finalmente, mai successo in vent’anni, avere il paese ai propri piedi e vedersi schiudere un destino manifesto di governo. La destra ha capacità manovriere e furbizie (non idee) infinitamente superiori a quelle della sinistra e venderà cara la pelle. Nel 1997 in Francia inventarono la Gauche plurielle (sinistra plurale, con tutti dentro, dai radicali ai verdi ai comunisti) che costrinse Jacques Chirac alla coabitazione con Lionel Jospin e produsse l’ultima esperienza importante di riformismo in Europa, compresa la demonizzata legge sulle 35 ore che in questa crisi ha dato il meglio di sé aiutando a distribuire meglio il poco lavoro che c’è. Con un PD tutt’ora vittima della vocazione maggioritaria veltroniana occorre guardare a destra per meglio capire la fragilità della sinistra. Oggi, in un contesto elettorale proporzionale e con Berlusconi stesso che fa l’elogio del Porcellum, nasce una sorta di Droite plurielle, destra plurale, che meglio si adatta al crepuscolo di questo e alla crisi che il paese vive in attesa delle elezioni europee della prossima primavera.
Il progetto per il pregiudicato lombardo è quella di offrire all’elettore “moderato” (mai termine fu più usato a sproposito) un bouquet di canali sempre più ricco sul quale l’elettore sarà indotto a sintonizzarsi su quello più consono ad aizzarne i livori e calmarne le paure. Non illudiamoci, il menù è talmente vario che una parte importante di chi ha votato Movimento Cinque Stelle sentirà attrazione per un reality show o una teleserie. L’operazione Forza Italia-Nuovo centro destra è studiata per rispondere al mutato quadro politico, alle esigenze legate alla decadenza ma innanzitutto per risintonizzare i decoder di una parte di quel quarto di italiani che ha votato Grillo di pancia e al quale si offre un berlusconismo di governo a presidiare le stanze dei bottoni e un Berlusconi di lotta a parlare all’intestino.
Nel menù c’è la destra neo-missina dei partitini di Storace e di Meloni. La voteranno i vetero-fascisti e quell’elettorato più sensibile ai richiami patriottardi. Erano disgustati da Berlusconi e si sentivano traditi da Fini ma restano massa di manovra del primo. Storace più sociale e nostalgico, Meloni più modernizzante, liberista, giovanilista, rappresenteranno anche quel giustizialismo di destra che chiude entrambi gli occhi per la casta ma è inflessibile con chi affonda, i poveri, i tossici, gli immigrati, i Rom. Staranno nelle periferie degradate ad alzare la bandiera dell’ordine e strizzeranno un occhio alle forze nuove e alle casepound. Forse perfino più a destra c’è sempre l’opzione leghista che, in quel Nord che continua a credersi la parte sana dell’universo, raccatterà il voto dei razzisti senza vergogna e di quei pochi che ancora credono alla favola dello pseudo-federalismo in camicia verde. Tutto compreso il vasto menù di estrema destra vale sempre 6-10 punti. Il PD che teneva la foto di Vasto in un cassetto fino a far ghigliottinare Di Pietro e guardare con sufficienza a SEL non ce l’ha un fianco così coperto.
L’operazione della neo-Forza Italia risponde alla conclamata incapacità di Berlusconi di governare il paese. È il partito degli spezzoni di mondo del lavoro, imprenditori, commercio, partite IVA che Berlusconi ha sistematicamente tradito ma che nessun altro ha saputo e sa rappresentare e imbonire meglio di lui. Contro le tasse, le banche, Equitalia, i sindacati, la Fiom, il Mezzogiorno, i giudici comunisti e i forestali calabresi, ovviamente contro l’Europa e mai contro l’inefficienza, la corruzione, l’arretratezza, l’interesse privato e speculativo, le mafie con le quali si “deve” convivere. Nel parlare a questa gente il centro-sinistra è fermo alle lenzuolate bersaniane, un’inezia rispetto a modernizzazioni giuste e necessarie e una puntura di spillo rispetto agli egoismi, spesso criminali, da colpire. Lo testimonia il genocidio campano prodotto dall’alleanza tra criminalità organizzata locale e imprenditoria settentrionale, ovvero la quint’essenza del neoliberismo. Questa gente è vent’anni più vecchia, disillusa, cattiva. Tutti lo siamo in fin dei conti. Ha perso quell’ottimismo consumista del credere di saper dominare il mondo a patto di non avere comunisti tra i piedi. Tra i berlusconiani solo qualcuno l’ha sfangata, i più furbi, quelli più vicini alle élite. I più, quelli che lavoravano davvero, hanno perso quel po’ di benessere e hanno vissuto la crisi come una traversata nel deserto e la fine delle illusioni. Al termine delle quali resta però sempre e solo Berlusconi in grado di rappresentarli e dar la colpa a qualcun altro. Il Berlusconi di oggi è vecchio, disilluso e cattivo come loro. Ha prodotto solo poche odiose furbate e tanta ingiustizia. Resta quell’individualismo thatcheriano sempre più gretto, sempre più rabbioso, ferito, pericoloso ma che sempre e solo Silvio può incarnare. Certo, vi sono anche i beoti che continuano a guardare Rete4. Quelli che, anche se vivono con la pensione minima, si sono convinti che lo stato sociale vada liquidato per abbassare la pressione fiscale sui ricchi e far ripartire i loro consumi. A tutti questi elettori (e di nuovo in concorrenza con Grillo) Berlusconi ha offerto fin da ieri, senza più le prudenze alle quali è stato obbligato negli anni di governo, il nuovo nemico: l’Europa, l’Euro (di Prodi) e il nostro principale alleato e partner economico, la Germania. L’anticipo del discorso di oggi alla teppaglia ben vestita che ci piacerebbe fosse il Teatro lirico di Berlusconi (quello dell’ultimo discorso di Mussolini) non lascia speranze: la maniera principale con la quale B. conta di recuperare consensi sarà un eversivo attacco al cuore dell’Europa. Quanto vale il Berlusconi solo di lotta? Di sicuro, con la decadenza incombente, la maschera governista non serve più. Uno pari e palla al centro: la decadenza stessa perde di senso.
Berlusconi è furbo e ben consigliato. Sa bene che molti voti si possono prendere con una distruttiva campagna antieuropea in competizione con Grillo. Ma poi sa anche che con l’Europa si dovrà convivere (come con la mafia se volete). Sa bene che rinchiudendosi nel suo “ridotto della Valtellina” qualcun altro dovrà far da pontiere con tanti poteri, nazionali e locali che vivono e prosperano intorno allo Stato e alla politica e dai quali dipende una quota non demagogica di consenso e che aborriscono l’idea di opposizione: Confindustria, le banche, la Conferenza Episcopale, la troika, la Nato, per citarne le più significative. Se parlar di mani nette per Berlusconi fa sorridere, è proprio questo il gioco. Lui si lascia mani libere per combattere la sua battaglia contro la legge uguale per tutti e contemporaneamente una nuova Democrazia Cristiana, il “nuovo centro destra” di Angelino Alfano, dialoga, tesse la tela, resta al governo e cuce alleanze che possono cooptare e spingersi oltre i rottami di Scelta civica e UDC fino a spezzoni dello schieramento avverso soprattutto se questo dovesse riuscire a bollire il fenomeno Renzi. Saranno governisti, europeisti, perfino un po’ legalisti (sai che risate si faranno gli Schifani) e sapranno lanciare le necessarie rassicurazioni ai poteri di cui sopra.
Ha ragione Berlusconi: dove il PdL perdeva i pezzi meglio usare un soft power per tenere insieme una costellazione di destre dai fascisti ai democristiani passando per il pubblico del TG4. È puro marketing quello sotto i nostri occhi della destra plurale di lotta e di governo che si divide per attaccare unita.
Nel frattempo il PD porta la croce e non sa e non vuole parlare alla rabbia di chi sta perdendo ogni sicurezza. È maledettamente poco la parlantina sciolta di Renzi e l’arroccamento della classe dirigente. È un PD così scioccamente responsabile, così drammaticamente garante della conservazione di tutti i poteri forti e nell’apparire (ma non sempre essere) così appiattito sull’establishment da apparire coincidervi, così masochista dal rappresentarsi come casta in spregio al disgusto del suo stesso elettorato. È un PD pronto a perdere la centesima battaglia e poi la guerra.