Da mesi (l’ultimo episodio è avvenuto a Ostia) un ministro della Repubblica, Cécile Kyenge, è oggetto di una persecuzione criminale fatta di un crescendo di gesti tenebrosi, provocazioni, offese, minacce, aggressioni che sempre più paventano quella fisica e con i quali la società civile non può accettare di convivere.
Tali gesti sono inequivocabilmente inseribili tra i cosiddetti «crimini d’odio» riconosciuti dalla Legge Mancino (205/1993). Questa sanziona non solo gli atti violenti ma anche l’istigazione e l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Non ci troviamo quindi solo di fronte ad un evidente imbarbarimento della vita politica italiana, con spezzoni della società letteralmente impazziti per la stessa idea -per loro intollerabile- che una donna di pelle nera possa essere cittadina e ministra e che considerano anche il solo dibattere sul diritto di cittadinanza ai ragazzi nati in Italia come una provocazione intollerabile.
Ci troviamo di fronte ad una sistematica e organizzata aggressione contro una cittadina e donna politica alla quale sempre più è conculcato il diritto a svolgere il proprio mandato, a partecipare a iniziative pubbliche, a vivere serenamente nel proprio paese (arrivando all’infamia di minacciarne l’incolumità delle sue bambine). Tali azioni sono evidentemente organizzate, coordinate e finalizzate a trarre vantaggi politici.
Anche se tali aggressioni sono venute da un ampio spettro di soggetti (inclusi esponenti di un partito di governo quale il PdL) ed in forme diverse, alcune organizzazioni politiche di estrema destra, Forza Nuova e Lega Nord in particolare, stanno evidentemente conducendo tali campagne d’odio allo scopo di farsi propaganda, stare sui media, ottenere benefici. È una speculazione che è anche un’aggravante e se ne scorge il disegno, di fronte alla crisi di sistema che viviamo, della volontà di creare un’area politica analoga a quella dei neo-nazisti di Alba Dorata in Grecia allo scopo di entrare o restare nelle istituzioni democratiche svuotandole discriminando parte della nostra comunità. Particolare aberrazione è che le aggressioni a un ministro che, suo malgrado, è divenuto un simbolo della lotta al razzismo vengono ipocritamente spacciate (anche da alcuni media) come un malinteso, fuorviante diritto alla libertà d’espressione (che non è mai diritto all’odio e alla discriminazione).
Di fronte a decine di episodi evidentemente coordinati e dietro buona parte dei quali è lecito scorgere una regia e una prassi politica odiosa, è tempo che non solo la società civile ma le istituzioni e il governo prendano atto che non basta più perseguire penalmente gli autori materiali di tali atti. È necessario mettere fuori legge tali organizzazioni arrivandone allo scioglimento. Non esiste libertà di discriminazione.