Il caso di Ingrid Betancourt, ad un mese esatto dall’ultima teorica speranza di liberazione, quando Parigi mandò un aereo attrezzato in loco, è di nuovo “ad un punto morto ed è necessario ricominciare di nuovo”. Lo ha affermato il Ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, in visita in America latina.
A tal fine Kouchner, a Caracas, ha consegnato al presidente venezuelano Hugo Chávez una lettera del presidente Nicolas Sarkozy perché il suo omologo venezuelano “usi tutti la sua autorità per riaprire la prospettiva di un accordo umanitario tra governo colombiano e FARC”.
Secondo Kouchner, Chávez si è detto “sempre disposto a lavorare alla risoluzione del caso”, dal quale fu estromesso dal suo omologo colombiano Álvaro Uribe.
Dalla missiva di Sarkozy si coglie anche che la missione medica, inviata quattro settimane fa dal governo francese nella selva colombiana, pur avendo fallito nel tentativo di liberare l’ostaggio, sia riuscita ad avere notizie che confermano che l’ex-senatrice colombiana sia viva ma che le sue condizioni di salute sarebbero molto preoccupanti.
Dopo che in gennaio e febbraio furono ottenute le liberazioni di sei ostaggi, con la mediazione di Chávez e della senatrice liberale colombiana Piedad Córdoba, e queste sembravano il preludio alla libertà anche per Ingrid Betancourt, i due mediatori erano stati completamente esautorati da Uribe. Il primo marzo poi, poche ore prima che tre emissari del governo francese si incontrassero con il dirigente delle FARC Raúl Reyes, quest’ultimo fu ucciso con un’incursione in Ecuador da parte di elementi dell’esercito colombiano. Il gravissimo sconfinamento, certamente ispirato da Washington in cerca di regionalizzare la guerra colombiana, aveva portato ad una crisi militare tra Colombia, Ecuador e Venezuela, risolta solo dal concerto latinoamericano riunito a Santo Domingo.
Il presidente ecuadoriano Rafael Correa, che a sua volta incontrerà Sarkozy a Parigi la prossima settimana, ha rivelato come il suo governo fosse già pronto per accogliere Ingrid Betancourt e altri 12 ostaggi che sarebbero stati liberati dalle FARC insieme a lei, per un accordo praticamente già raggiunto tra gli emissari francesi e Raúl Reyes, e ha nuovamente denunciato che lo sconfinamento e il susseguente massacro di Lago Agrio con una ventina di morti, tra i quali gli studenti messicani della UNAM, sarebbe stato ordinato da Uribe proprio per evitare il successo della mediazione e la stessa liberazione di Ingrid Betancourt. Sempre Correa, in conferenza stampa a Quito, ha affermato di coincidere con il governo francese nel pensare che non vi sia soluzione militare possibile al conflitto colombiano, in corso da mezzo secolo e che causa il più alto numero di profughi al mondo, quattro milioni. Esattamente il contrario di quello che sostiene Uribe, il che marca un quadro geopolitico nel quale, esattamente come in gennaio, da una parte ci sono i governi integrazionisti latinoamericani e la Francia, dall’altro Bogotà, Washington e in maniera più sfumata Madrid.
Le dichiarazioni di Kouchner e Correa, e l’estrema prudenza in merito da parte di Chávez, confermano che sono stati persi quattro mesi per ritornare alla situazione nella quale si era giunti al momento della liberazione della più stretta collaboratrice di Ingrid Betancourt, Clara Rojas, lo scorso dieci gennaio: la necessità di restituire ai governi integrazionisti latinoamericani, e specialmente al Presidente venezuelano Hugo Chávez, il loro ruolo di mediazione. Ruolo sul quale continua a pendere il veto assoluto di Bogotà e Washington, nonostante tutte le parti in causa, includendo il governo francese e la famiglia Betancourt, considerino che l’unica maniera di liberare l’ostaggio sia attraverso il concerto latinoamericano.
Di fronte al dilatamento dei tempi e all’imminente pericolo di vita dell’ostaggio più famoso, i sequestratori delle FARC, dal canto loro, possono permettersi di alzare la posta e chiedere al governo francese, che dal primo luglio avrà la presidenza di turno dell’Unione Europea, il riconoscimento come forza belligerante e la cancellazione dalla lista delle organizzazioni terroriste. E’ una richiesta in altri tempi irricevibile ma non nelle attuali condizioni politiche colombiane. A Bogotà imperversa lo scandalo della parapolitica, l’organicità tra paramilitarismo e classe politica che vede quasi cento parlamentari, più di 30 in carcere e il resto inquisiti per complicità con il paramilitarismo. Tra questi si trovano alcuni tra i più stretti collaboratori del presidente, a sua volta indagato, e sempre accusato da libera da Ingrid Betancourt di essere complice a sua volta del paramilitarismo. Una situazione di debolezza che al di là del millantato credito che Uribe afferma di godere presso i colombiani, potrebbe indurre ad accettare la pressione francese e permettere alla diplomazia latinoamericana di tornare a lavorare. Altre vie d’uscita non se ne scorgono.