Non è male guardare France24 e vedere scorrere tra le notizie internazionali “Rafael Benítez nommé entraîneur de Naples”. Il Napoli di Aurelio De Laurentiis è una florida industria dell’intrattenimento sportivo che fa un passo decisivo verso l’internazionalizzazione, volando via dai limiti angusti di un colonialismo mentale che è parte dell’immaginario collettivo italiano che relega il meridione in una condizione di eterna minorità.
Fa impresa il Napoli di De Laurentiis, non deve combattere crociate né farsi carico di riscatti morali, ma, con uno dei bilanci più floridi d’Europa e in regola con anni di anticipo sul fair play economico, rappresenta una moderna industria immateriale che dimostra che quelle gabbie mentali possono essere abbattute. Don Fefé Benitez non è che un professionista europeo in posizione apicale che accetta un posto di lavoro nel nostro Mezzogiorno. Dovrebbe essere la norma, andare e venire, questo cammino Nord-Sud nell’Italia e nella Napoli in crisi di lunghissimo periodo, senza classe dirigente, servizi, infrastrutture all’altezza e sempre più periferica, in un lungo inverno che la priva del suo posto naturale di grande capitale europea. Al contrario, l’attrarre cervelli e non vederli fuggire sarebbe il primo segnale di una primavera che, come canta Battiato, tarda ad arrivare.