Mesi fa avevo accettato (lo faccio con crescente difficoltà per i troppi impegni) l’invito di un’associazione di una città a circa 150 km da quella dove lavoro, per parlare di Venezuela, della figura di Chávez e portare la mia testimonianza di prima mano dell’ultimo mio soggiorno a Caracas (sono appena tornato) e a pochi giorni dalle elezioni del 14 aprile. Ieri mi hanno chiesto di spostare l’iniziativa per improvvida concomitanza con “manifestazione di ripudio contro Yoani Sánchez”.
“Che cosa posso dirvi?
Andate e fate,
tanto ci sarà sempre, lo sapete,
un musico fallito, un pio, un teorete…”
Ho gentilmente declinato, non andrò in nessun’altra data e mi dissocio fermamente e pienamente dal loro presidio. Non solo Yoani ha il diritto di dire ciò che vuole (molte balle, non ci piove, ovviamente senza contraddittorio ed eterodirette) ma sarà tutta felice di essere contestata. Contrapporle (non a lei, ma a tutto il sistema mainstream del quale è ingranaggio) fatti, ragioni, documenti, dati duri, informazione negata sui progressi dell’America latina integrazionista sarebbe stata la miglior maniera di andare avanti, di crescere, di condividere cose che vengono nascoste ad arte perché non si devono sapere. Almeno dal mio punto di vista e per il mestiere che faccio.
Cuba cambia, non è mai stata e mai sarà la barzelletta costruita a tavolino da Yoani o chi per lei ma non è neanche la fotografia in bianco e nero dei filo-cubani a prescindere. È un laboratorio umano che da vent’anni (più altri trenta) si esercita nella difficile arte del sopravvivere senza dogmi cercando (se vi par poco…) di prescindere dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Andrebbe trattata meglio, da tutti.